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ATRIA Hide Musea 1996 FRA

L'indifferenza è il peggior nemico di un musicista. Cadere nell'oblio prima ancora di cominciare e passare inosservati, è quanto di peggio si possa augurare a chi, come questi Atria, realizza un qualcosa che vuole a tutti i costi essere ascoltato. Una strada sicura da seguire, dove non si corrano inutili rischi, non esiste. Esistono invece una serie di strade alternative, caratterizzate da alcune certezze e da molte incognite. Il quintetto transalpino ha scelto, come fargliene una colpa, un percorso artistico il più possibile privo di ostacoli. La facilità con la quale le strutture melodiche vengono recepite, pur non essendo sinonimo di commercialità, porta con se il rischio implicito di far cadere velocemente nel dimenticatoio quanto prodotto fino ad ora. Non posso lamentare alcuna carenza oggettiva nelle professionali capacità tecniche e compositive della band, ma lo stile (quel power-prog che trova negli Eurhybia i suoi antenati) suscita solo un facile entusiasmo iniziale e solo quello... Un netto miglioramento rispetto al precedente "Boulevard of broken dreams", registrato nel 1992, c'è indubbiamente stato, avendo riscontrato un approccio meno semplicistico e più aggressivo (sebbene uno dei due chitarristi abbia lasciato il gruppo) nelle composizioni. Ciò nonostante manca ancora quel salto di qualità mentale, che pur essendo alla portata degli Atria, non è ancora stato coraggiosamente compiuto.

 

Giovanni Baldi

Collegamenti ad altre recensioni

ATRIA Boulevard of broken dreams 1993 

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