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ARANIS Made in Belgium II Home Records 2014 BEL

Ce lo avevano annunciato già da tempo che l’avventura di “Made in Belgium” avrebbe avuto un seguito. E l’idea di coinvolgere e rielaborare il materiale di compositori belgi afferenti al filone della musica colta e d’avanguardia è piaciuta così tanto agli Aranis e al loro pubblico che presto potremo assaporare anche un terzo volume. In attesa che la trilogia si compia, dunque, godiamoci questa intrigante selezione di materiale belga, riletto come al solito con perizia, arguzia ed eleganza da un gruppo a dir poco eccezionale. Lo stile è sempre quello cameristico, estroverso ed irrequieto che ben conosciamo, vi si aggiunge però un pizzico di teatralità, fornito dall’interpretazione canora pittoresca e sfacciata della flautista Jana Arns (per essere precisi nel booklet il suo cantato viene definito “osceno” ma non è assolutamente così, ovviamente), e di rusticità, con brillanti note di colore dalle tonalità folkish fornite dalla fisarmonica a 217 bottoni di Marjolein Cools.
Questa volta fra i compositori selezionati figurano anche alcune donne e più precisamente Amanta Roosens, nota per il suo progetto “La Sieste Du Dromedaire” col quale esplora il tango da diverse e strane angolazioni, e Aurélie Dorzée, cantante e violinista del gruppo Aurelia. Alla prima appartiene “Kablamo”, brano dai ritmi danzanti, leggero e capriccioso, mentre alla seconda è affidata la scrittura del pezzo di chiusura, “Funambul”, che in realtà non ha nulla di funambolico, come il titolo vorrebbe insinuare, con i suoi toni rilassati che sembrano fatti per colorare di suoni una romantica nottata parigina.
Troviamo in questa raccolta di ben tredici gemme composizioni complesse e violente ma anche momenti elegiaci, come le piccole e brevi pause fornite dagli intermezzi I, II e III elaborati, il primo e l’ultimo da Pierre Chevalier, artista che avevamo trovato già nella line-up di “Roqueforte”, proveniente da Univers Zero e Presence, giunto in questo nuovo album a sostituire Ward De Vleeschhower al piano, e quello centrale, il secondo, da Joris Vanvinckenroye (contrabbasso e arco con crini di cavallo), vero e proprio cervello pulsante degli Aranis.
Il primo pezzo, “Skip XXI”, originariamente appartenente al repertorio degli X-Legged Sally di Peter Vermeersch, è proprio uno dei più tosti. La versione originale che si trova nell’album “The Land of the Giant Dwarfs” del 1995 era in realtà ancora più anarchica e rumorosa; ora la sua architettura appare decisamente più agile ma allo stesso tempo incredibilmente pruriginosa e ribelle. Le timbriche sono orchestrali ed eleganti ed il ricco groviglio di note viene sviluppato con grazia e aggressività al tempo stesso. E’ di Jan Kuijken, violinista degli Univers Zero, e di Joris Vanvinckenroye lo spartito di “Hit”. La musica procede qui a strappi, impetuosa ed ombrosa, proprio come quella degli Univers Zero. Gli strumenti, piano e violino in primis, si rincorrono in fughe scenografiche senza peraltro mai perdere coerenza e senso della melodia. La chitarra di Stijn Denys scalda appena l’ambiente regalandoci momenti di dolcezza rassegnata nell’ambito di un pezzo molto potente e dai vistosi richiami classici. La sensazione di tormento ed irrequietezza cresce a dismisura in “Tolles Pferd” di Koen Van Roy, artista proveniente dalla line-up dei Cro Magnon. Le sonorità sono infernali, con deliziosi duelli fra il flauto ed il violino marziale di Liesbeth Lambrecht, mentre il pianoforte con la fisarmonica lavorano incessantemente nelle retrovie. Ed ecco poi il cantato quasi grottesco e volutamente eccessivo di Jana, con la base musicale che si alleggerisce appena per far spazio all’arrivo di cori inquietanti.
In “DSK”, scritto da Maarten Van Ingelgem, pianista ed insegnante presso il conservatorio di Anversa, il piano è sì arioso ma anche terribilmente sinistro. Il contrabbasso segna il passo greve e gli strumenti sembrano come spettri che danzano in una casa abbandonata, attraversata da ragnatele e correnti d’aria gelida. I momenti musicali sono fatti di pause e flebili accelerazioni, impercettibili variazioni di intensità e melodie oscure. E’ assolutamente da segnalare la partecipazione in un paio di tracce di Pierre Vervloesem con la sua chitarra a cui si devono gli unici e rari momenti di elettricità ravvisabili in quest’opera. Possiamo apprezzarne l’azione musicale in “La Vague” del pianista e compositore Walter Hus, brano un po’ stridente che gioca su dissonanze, rumori e incastri melodici inusuali, ma soprattutto su “Cell Stress”, brano di una osticità accattivante, concepito da Kurt Budé, artista che lavora con gli Univers Zero dal 2010. La sua non consequenzialità è fatta di ossessioni, momenti di impeto improvviso e di vuoti falsamente rassicuranti. Sinistro, spettrale e fastidiosamente introspettivo, si profila sicuramente come uno dei brani più complessi dell’opera, con un’ispirazione molto vicina a quella degli ultimi Univers Zero. Lascio in fondo a questa mia disanima disordinata “Chanoi” di Joris Vanvinckenroye, composizione molto sofisticata che brilla per le sue melodie belle e raffinate e “Boki II”, brano che porta invece la firma di Ward De Vleeschhower, con le sue delicate intersezioni di piano, flauto e violino, rapido e leggero come una brezza leggera che si porta via polvere, pensieri ed inutili distrazioni.
Questo che a prima vista non sembrerebbe un vero e proprio nuovo disco degli Aranis, in realtà lo è a tutti gli effetti. E’ l’arte del gruppo che riesce infatti a dare coerenza e continuità a composizioni legate in qualche modo da un filo comune ma che sono di fatto molto diverse tra loro. Il tocco di questi artisti marchia inconfondibilmente quest’opera rendendo assai piacevole un terreno di ascolto sicuramente complesso e non agevole per tutti. Insomma, non pensateci su più di tanto: compratelo sicuramente se siete fan degli Aranis ma anche se non lo siete e volete provare qualcosa di diverso rispetto al vostro target. Se dovete sbattere il capo su qualcosa di più complesso rispetto al vostro solito vale la pena farlo proprio con questo. Non ve ne pentirete.


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Jessica Attene

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