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ABBOT Between our past and future lives Blood Rock Records 2014 FIN

Ma quando un gruppo già si autoproclama una heavy doom rock band, si professa appartenente alla old school heavy rock n’ roll e definisce la propria musica come una jam tra Billy Gibbons e Satana… quando in partenza, si diceva, vengono sciorinate tutte queste informazioni ad effetto, questo gruppo come diavolo (è il caso di dirlo!) può essere recensito in quanto realtà prog?
Occorre però fare immediatamente chiarezza: qui non si sta dicendo che tutto ciò che è prog-rock è bello ed in quanto tale merita di essere recensito, mentre tutto il resto è privo di dignità e quindi non vale la pena di essere considerato; lo si ribadisce: non si sta dicendo assolutamente questo ed il messaggio è rivolto soprattutto a chi si trova già organizzato per divertirsi in qualche polemica astrusa, livorosa e senza fine. Semplicemente, ancora non si riesce a comprendere perché ci sia questa impellente necessità di far passare qualcosa per ciò che non è. A questo punto, perché non recensire su queste pagine virtuali anche Beatles e Rolling Stones? Qualche puntata in territori più articolati l’avranno fatta anche loro, giusto? E quindi?
Inoltre, qui non stiamo nemmeno parlando di un ampio fenomeno socio-musicale come potrebbe essere il progg svedese, che risulta essere un contenitore molto ampio e che in quanto tale necessita di valutazioni assolutamente differenti…
Tanto per dovere di cronaca, tre quarti del gruppo finlandese già suonava assieme nel 1996, facendo cover di pezzi punk. Dopo lo scioglimento dell’anno successivo, i tre hanno proseguito ciascuno per i fatti propri, sempre però bazzicando principalmente in territori punk e hardcore. Oggi danno vita ad una specie di heavy rock dalle timbriche chitarristiche roche, di tipico stampo stoner, guardando alla pesante psichedelia di fine sixties. Facendo molta autoironia, i quattro dicono che prima andavano spensierati per i boschi, poi però è accaduto qualcosa di grave: la scoperta, per l’appunto, del heavy rock. E soprattutto dei Black Sabbath, band il cui Verbo sembra dover essere in tutti i modi predicato dai gruppi omologhi e soprattutto dalle etichette che li mettono sotto contratto. Nel sito vengono nominati vari riferimenti musicali storici, ma guarda caso mancano nomi tipo Deep Purple o Uriah Heep. Non fa niente? Mica tanto, perché col “senno del poi” ciò indica una ben precisa scelta stilistica, che concede molto poco a specifiche soluzioni orecchiabili. Ritmi che in un primo momento potrebbero sembrare duri e trascinanti, quindi, ma che fino alla fine rimangono sempre uguali a loro stessi. Insomma, se proprio si volesse analizzare fino in fondo il prodotto alla luce di certi parametri, realtà di un tempo come i 13th Floor Elevator suonavano decisamente più varie!
Ci sarebbe da prendere in considerazione l’uso dell’armonica nel finale di “Child of Light”, la title-track o il blues “stonato” (nel senso di sostanze chimiche) di “Mr. Prowler Man” e di “Keep On Moving”, forse la migliore del lotto…
Se proprio si desidera una valutazione, si può dire che gli Abbot presi a piccole dosi sono divertenti e che in futuro potrebbero anche fare un bell’album rimanendo in ambito “stoner”, tenendo però presente che realtà come Grand Magus o Spiritual Beggars, al momento, si trovano distanti anni luce.
Non ve ne abbiate a male, ma questo è tutto.



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Michele Merenda

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