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ARMONITE The sun is new each day autoprod. 2015 ITA

Tornano dopo più di quindici anni gli Armonite, gruppo formatosi a Pavia nel 1996. Nel ’99 viene inciso “Inuit”, esordio autoprodotto ristampato l’anno seguente dalla sanremese Mellow Records. Una proposta che si contraddistingueva per la presenza di due violinisti, con cui veniva soppiantato l’uso della chitarra. Un primo lavoro melodico e strumentale, molto piacevole, che però sembrava destinato a rimanere l’unica testimonianza discografica della band. I componenti prendono ciascuno strade diverse, finché Jacopo Bigi, uno dei violinisti, incontra nuovamente il tastierista e compositore Paolo Fosso, riprendendo così il vecchio moniker. Fosso si mette all’opera e alla fine viene fuori un progetto musicale internazionale, che vede Colin Edwin dei Porcupine Tree al basso e l’olandese Jasper Barendregt alla batteria. Punto su cui si è voluto (anche troppo) insistere mediaticamente è stato il voler affidare la produzione a Paul Reeve, primo produttore dei Muse, masterizzando poi il tutto ai celebri Abbey Road Studios.
Qualcosa del passato è stato mantenuto, soprattutto su “Slippery Slope” e “Die Grauen Herren”, in cui è presente il violoncello di Marcello Rosa. La prima sembra quasi un’appropriata colonna sonora di quel mare desolante e tempestoso che porta via tutto quanto messo a bella posta in copertina, con una (molto) vaga eco di “Kashmir” dei Led Zeppelin; la seconda è invece più giocosa, con begli intrecci degli archi intramezzati dal pianoforte, molto più votata al rifacimento classico. Tra i due brani citati c’è “Satellites”, la cui parte iniziale ricorda molto quella di “Hope” della Mahavisnu Orchestra.
Colin Edwin si rivela ben calato nella parte, come risulta già dall’iniziale “Suitcase war”, tra le fasi più energiche dell’album (da ricordare che i due italiani a suo tempo coverizzavano pezzi dei Dream Theater), che a tratti si rifà ai Kansas ma anche a soluzioni sfruttate dagli ungheresi Carpathia Project. Il problema, forse, sta nel fatto che la produzione limpida ed impeccabile fa sembrare buona parte delle composizioni come qualcosa che esce da un videogioco. Magari è un effetto anche voluto, però dà la sensazione di rendere più “semplicistico” qualcosa che invece è molto complesso e che oltre ai nomi sopra citati guarda anche ai Gentle Giant. Tutti elementi che possono essere individuati in “Connect Four” e “G as in Gears”. La più evocativa risulta però “Sandstorm”, tra suoni di sitar ed il violino che volteggia come un vortice suadente (purtroppo poi ci sono dei suoni tipo midi per tastiera…). Bello il pianoforte nella lenta “Le temps qui fait ta rose”, accompagnato da un violino che sarebbe anche potuto comparire in un film come “Canone inverso” nelle sue scene più intime, per chiudere ancora con gli effetti da videogames di “Insert Coin”, in cui collabora Anders “Goto80” Carlsson.
L’album scorre molto velocemente; risulta suonato molto bene dai quattro musicisti coinvolti, anche se il suo predecessore possedeva probabilmente altro spessore. Questo ritorno sembra qualcosa di realizzato per sano divertimento, sfruttando l’importante retaggio scolastico a propria disposizione. Un lavoro comunque molto piacevole, che può essere ascoltato e addirittura scaricato gratuitamente dal sito della band, la quale vive la musica come qualcosa da far fruire liberamente. Una decisiva scelta di vita, la loro. Al di là di tutto, che dire… Bravi!



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Michele Merenda

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