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AMPACITY Superluminal Instant Classic 2015 POL

Sulla scia di Diagonal, Causa Sui ed altre entità musicali devote allo space rock più energico e muscolare, i polacchi Ampacity ci travolgono con questo loro secondo lavoro, successore dell’esordio “Encounter One”, pubblicato nel 2013. “Superluminal” è stato registrato dal vivo negli studi di Radio Gdańsk e conserva pertanto intatta tutta la prepotente energia che la band riesce ad emanare. Il gruppo è guidato dal chitarrista Jan Galbas, un autentico talento, cui si affianca l’altro chitarrista (che suona anche il theremin) Piotr Paciorkowski, il tastierista Marek Kostecki, il batterista Sebastian Sawicz ed il bassista Wojciech Lacki. Come si può notare, quindi, non c’è un cantante... ma la musica degli Ampacity è satura già così e non se ne sente proprio la mancanza.
I primi 20 minuti dell’album, occupati dalle tracce “42” e “Propellerbrain”, scorrono senza una sia pur minima pausa; i due pezzi, simili per durata e caratteristiche, non lasciano un secondo per poter prendere fiato, assalendoci fin dal primo momento con ritmiche frenetiche, circonvoluzioni psichedeliche sostenute da un solido tappeto di tastiere (che non prendono comunque quasi mai il sopravvento). Le ritmiche sono potenti e vengono anche in mente gruppi hard rock degli anni ’70 (Uriah Heep e Atomic Rooster su tutti), ibridati da massicce dosi di kraut (Brainticket, Guru Guru…).
Facciamo finalmente una breve pausa e tiriamo quindi il fiato con “Molten Boron”, un brano sui 6 minuti decisamente più tranquillo e decisamente più floydiano, quanto a caratteristiche, con un 4/4 quasi soporifero, usciti come siamo dall’assalto delle prime due tracce. Finalmente sentiamo le tastiere salire timidamente in primo piano.
Torniamo a correre con i quasi 11 minuti di “Planeta Eden”, non scevra di riferimenti agli Ozric Tentacles e agli Hawkwind da un lato, ma anche Led Zeppelin e Black Sabbath dall’altro. Il brano è comunque molto più variegato rispetto ai due iniziali, offrendo belle variazioni e cambi di tempo, con le tastiere che riescono a farsi sentire un po’ di più.
Si chiude con la title-track, un brano di 7 minuti e mezzo leggermente più spostato verso territori post-metal e dalle sonorità acide, imperniato su un riff ripetuto continuamente e intorno al quale si scatena l’universo sonoro degli altri strumenti.
L’album, di durata tutto sommato contenuta, ci lascia stremati e ci fa ancora una volta riflettere sul fatto che la scena Prog polacca non è popolata fortunatamente solo da gruppetti di new Prog annacquato, i quali, purtroppo, sono però quelli che hanno maggiore visibilità. Gli Ampacity purtroppo sono passati piuttosto inosservati ma non è certo troppo tardi per scoprirne le belle possibilità e quanto di buono ci possono regalare.



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Alberto Nucci

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