Home
 
ATAVISMO Inerte Temple Of Torturous Records 2017 SPA

Direttamente dalla Svezia ci arriva… ah no, scusate… gli Atavismo sono spagnoli, di Algeciras per la precisione. Ma… ma… fanno space-Prog psichedelico… suonano molto anni ’70… hanno il Mellotron… la label è svedese… cantano in spagnolo, ah… OK.
In effetti la proposta musicale che ci troviamo ad ascoltare potrebbe essere una delle tante produzioni dell’etichetta Transubstans, se non fosse appunto per il cantato in spagnolo che dona un sapore caratteristico e ci permette di fare un minimo accostamento con i connazionali Asfalto o con band argentine quali i Pescado Rabioso. La terra andalusa che ha cresciuto i membri della band ha peraltro fornito loro anche un imprinting arabeggiante che di tanto in tanto si fa sentire nelle circonvoluzioni musicali delle 5 tracce dell’album.
Per il resto c’è da dire che gli Atavismo sono al loro secondo album (l’esordio, “Desintegración”, è del 2014) e che la lor musica prevede un alternarsi di temi rabbiosi e potenti, distorsioni stoner e melodie ampie e spaziali, con predominanza di composizioni lunghe e multiformi. La band è costituita solo da tre musicisti (Pot, Pow e Mat) per la classica formazione chitarra-basso-batteria; ognuno di loro però canta (spesso in coro) e si produce a turno alle tastiere (Mellotron, Moog e Farfisa).
“Pan y Dolor” inizia l’album e, nella sua prima parte, offre un cantato dal sapore vagamente flamenco su un tappeto di rock psichedelico vigoroso e dalla ritmica sostenuta; nella sua seconda metà il brano cambia decisamente pelle, con una lenta progressione lisergica guidata dalle tastiere vintage di cui il gruppo dispone, prima di riprendere i temi originari sul finale.
La lunga “El Sueño” amplifica le componenti stoner, con un basso ancor più percepibile e riff hard blues. Il brano, per la sua lunghezza, risulta abbastanza dilatato e a tratti addirittura ipnotico. Di certo meno dispersiva è la successiva (più breve) “La Maldición del Zisco”, in cui la chitarra si tira un po’ indietro in favore delle tastiere, ma non meno ipnotica (ma perfino orecchiabile) nei suoi ritornelli, nelle ritmiche e nelle melodie del cantato.
La breve “Belleza Cuatro” (pur sempre 5 minuti) e la conclusiva “Volarás” abbassano decisamente i toni. La prima ha quasi l’apparenza di un trip lisergico, con ritmica pacata e sognante, cantato celestiale e chitarra acida ma diluita. Il brano finale invece paga decisamente tributo ai Pink Floyd e snoda nei suoi 10 minuti su ritmiche e sonorità d’atmosfera, forse un po’ troppo dilatate, con vocalizzi (e spunta anche una voce femminile) e sciabolate sporadiche che colpiscono senza far male.
Un discreto dischetto, a conti fatti, non banale e decisamente apprezzabile; non si rimane delusi.



Bookmark and Share

 

Alberto Nucci

Italian
English