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ATLANTROPA PROJECT Atlantropa project Progressive Promotion Records 2017 GER

Una novantina di anni fa l’architetto tedesco Herman Sörgel ideò il progetto “Atlantropa” che prevedeva il graduale prosciugamento del Mediterraneo (!!), cosa che avrebbe generato nuove terre emerse da sfruttare e, soprattutto, grazie alla collaborazione tra le varie Nazioni, un regime di pace duraturo. Questa idea utopistica è alla base del concept che vede impegnati un buon numero di musicisti sotto il nome di… Atlantropa Project.
Ventitré tracce unite tra loro (diciassette se consideriamo che tre brani sono divisi in tre sezioni distinte) compongono l’album, a corredo del quale è presente un esaustivo libretto con tanto di liriche e fotografie. Una voce narrante, quella di Tony Clark, lega alcune tracce tra loro. Tra i numerosi musicisti presenti il più noto è il chitarrista Hans Kühne dei Waniyetula (band attiva tra gli anni settanta e ottanta, con due album pubblicati, uno come “Galaxy” e l’altro proprio come Waniyetula. Tanto che Atlantropa project può essere visto come emanazione diretta del gruppo madre).
Ma torniamo all’album: un florilegio di rock romantico-sinfonico con qualche accenno heavy, convincenti trame strumentali, cantato gradevole e melodie piacevoli. Dopo che la voce narrante ha presentato le tematiche del concept, l’album parte a velocità sostenuta con “The great maker” che ricorda un po’ gli Shadow Gallery e gli Spock’s Beard (e tanti altri). “New sky” (divisa in tre parti) ci porta in territori genesisiani (“Wind & Wuthering"... per non dire direttamente “Your own special way…), con atmosfere avvolgenti e romantiche. Gradevole anche il trittico che compone “Time to bid goodbye”: delicata la prima parte, “tirata” la seconda, ancora soft il delizioso finale corale.
Piacevole anche “They want to steal the ocean” molto lineare e con una chitarra sobria che poi si inasprisce “griffando” qualche intervento sicuramente heavy rock: il tutto con apprezzabili cori e voci femminili a riempire il proscenio. Splendida e sognante la voce di Elinor Pongracz in “Mare nostrum dream”, accompagnata da una chitarra arpeggiata e poco altro. Qualche suggestione “gilmouriana” è offerta da “When we all speak atlantropan”, impreziosita dal violino di Ralf Hübner. “Dream my dream” è un altro pezzo delicato e ben interpretato dalle due voci di Michael Wolff ed Elinor Pongracz. “Star Atlantropa” (altra traccia divisa in tre) racchiude tutto quando detto sin ora: notevole impatto melodico, piacevoli cori, momenti introspettivi che si alternano ad altri più briosi: insomma non impera il genio, ma il buon gusto certamente.
L’album è quindi senza dubbio riuscito e gradevole, forse appesantito da qualche brano narrato di troppo, ma che si ascolta volentieri e che potrebbe essere apprezzato dal prog fan che ama l’easy listening di qualità. Come offerto dagli Atlantropa Project.



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Valentino Butti

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