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AGHARTA Flora autoprod. 2017 PAR

Non mi risulta che il Paraguay possa vantare una qualche forma di tradizione musicale progressiva sia attuale che pregressa, anzi, credo proprio che se questi Agharta non rappresentino l’unica band dedita a questo tipo di musica, poco ci manchi. Si favoleggia di un’entità leggendaria chiamata Chaco, il cui unico album risale al 1975, ma non avendoli mai ascoltati non saprei aggiungere altro. Sicuramente internet ha accorciato molto le distanze permettendo a chiunque di assorbire in modo veloce qualsiasi influenza musicale ed è così che un gruppo di musicisti di Asunción si è riscoperto amante di King Crimson e degli argentini Vox Dei, influenze queste che vengono perfettamente veicolate nell’interessante esordio discografico di cui vado a parlarvi.
Gli Agharta nascono soltanto nel 2014 quando Marcelo Fonseca (chitarra e voce) e Ignacio Sáenz, provenienti dalla line-up degli Hijos del Sol, band attualmente disciolta, si uniscono ai più giovani Enrique Codas (basso) e José Russo (tastiere), sperimentando una commistione di ritmi latini, funk, hard e jazz rock con forti venature psichedeliche e inclusioni sinfoniche. Questa miscela la possiamo ascoltare nell’esordio “Flora”, autoprodotto e suonato con grande energia, grazie anche all’apporto di preziosi ospiti fra cui spicca un gruppo di fiatasti che comprende Lucero Olazar al sax tenore, Paula Ezquivel al sax alto e soprano, Mar Perez alla tromba, Diana Quinonez al trombone e Marcelo Ortigoza al sax solista nella sola “Cordero”. Le composizioni sono per buona parte strumentali e vengono suonate in modo molto diretto, con passione e ruvidità.
“Jazz Lion” ha sicuramente un’impronta jazz, come il titolo stesso suggerisce, grazie soprattutto ai fiati, mobili e vivaci, ma la chitarra elettrica, dalle colorazioni hard blues, prende spesso il sopravvento guidando il brano con grinta. “Flora Preview” si spinge anche oltre con lunghi assoli elettrici, riff potenti ed una frizzante base funky con un gran lavoro di Pau Carmona, altro ospite del lotto, alle percussioni. Anche in “Cordero”, che giunge dopo un brano un po’ più rilassato intitolato “Distinto”, la chitarra di Fonseca la fa da padrona, scorrazzando ovunque in un contesto strumentale monolitico e dal taglio abbastanza Crimsoniano dove si affaccia anche un organo Hammond. Anche nei momenti che ci paiono più scontati troviamo una buona gamma di contaminazioni, ed ecco in questo caso gocce di psichedelia ad ampliare le nostre percezioni.
Fonseca non è l’unica voce solista ma troviamo due ulteriori ospiti a contendersi questo ruolo: Hector Candia nel lento “Sombras” e José Ferro nella successiva “Camino”, dalle atmosfere crepuscolari e dominata da un potente organo. Laddove prevale il cantato la musica diviene ancora più immediata, acquisendo talvolta un sapore quasi cantautoriale. Nessuno dei cantanti appare però particolarmente dotato anche se ognuno di loro, a modo suo, riesce a coinvolgere e a far girare molto bene canzoni che trovano il loro senso sul palcoscenico, naturalmente sostenute dal calore del pubblico. La conclusiva “Flora” è forse quella che possiede una caratura maggiormente sinfonica, con tastiere ben evidenti, anche se le contaminazioni hard blues finiscono anche qui col prendere il sopravvento.
La novità più grande di questo album, non posso nasconderlo, direi che risiede essenzialmente nella nazionalità della band. Detto questo i nostri ascoltatori, anche quelli meno smaliziati, non faticheranno a trovare elementi con cui hanno massima confidenza benché il modo in cui vengono assemblate le diverse influenze sia comunque degno di nota. Le capacità dei musicisti, soprattutto quelle di Fonseca, sono inequivocabili anche se il loro modo di fare è piuttosto diretto e la produzione casalinga di questo album amplifica molto questa sensazione. L’ascolto è sicuramente piacevole, con tutti i limiti che produzioni simili si portano dietro, e può rappresentare un interessante diversivo al di là della geografia. Provare per credere.



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Jessica Attene

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