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ANAKDOTA Overloading Fading Records 2016 ISR

Da diversi anni, si sente parlare e si vedono filmati di un gruppo piuttosto eterogeneo e variabile di giovani musicisti israeliani capitanati da un funambolico tastierista che prende il nome di Erez Aviram. Una parte di questi musicisti si è fusa in un combo, chissà se per l’occasione o per tempi più lunghi, sotto il nome di Anekdota e ha dato alle stampe questo CD dal carattere molto particolare e personale.
Uno dei primi aspetti sui quali val la pena di soffermarsi, è quello della mancanza di un chitarrista stabile nella formazione, solo in un brano c’è un chitarrista ospite. La mancanza di chitarrista, vista la presenza di un tastierista / compositore di così elevata capacità e versatilità, non fa sentire la band zoppa o in qualche modo carente, anzi favorisce senz’altro a rendere ancor più personale la musica degli Anakdota. Ci sono poi due cantanti per le parti maschili e femminili, bravi, bravissimi entrambi. Lui, Ray Linvat, lo abbiamo visto ed apprezzato più volte in vari filmati, è capace di una tale variabilità di modi, timbri e toni da risultare spesso impressionante. Lei, Ayala Fossfeld, ha il piglio della cantante jazz di grande levatura, espressiva, duttile, delicata, melodica, ma anche dura e ruvida all’occorrenza, una gioia per le orecchie. A chiudere la band troviamo una fenomenale sezione ritmica con il bassista Guy Bernfeld e il batterista Yogev Gabay, entrambi super impegnati per far fronte alle partiture complesse, articolate e particolari scritte da Aviram.
Abbiamo già posto come punto fermo musicale, una decisa trasversalità della proposta, lampante già dai primi momenti del disco, nei quali si viene letteralmente sommersi da sonorità irrequiete e cangianti dai sapori antichi ed eterogenei tra Gentle Giant, Frank Zappa, Jazz dal sapore teatrale e talvolta vagamente canterburyano, Echolyn e, in aggiunta, momenti sinfonici emersoniani, ma se andiamo a vedere nel dettaglio neppure troppo lontani anche da Genesis o dai conterranei Atmosphera o, ancora, dai più recenti e dalla breve vita Sympozion, oppure dal sapore del pop inglese anni ’70, Supertramp, 10CC, XTC. Sentire nei loro arrangiamenti, tutto questo, ma anche di più, è una bella esperienza.
Gli otto brani che compongono il disco si muovono su piani piuttosto eterogenei. Non ci sono forti picchi i durata e anche il brano più lungo si attesta sugli otto minuti e mezzo. Però, grazie all’intrico compositivo e alla varietà di forme e arrangiamenti, ogni brano diventa una sorta di mini suite, ricchissima e concentrata. Vale come esempio l’opener “One more day”, ma anche la più breve “Late”, una micro pièce teatrale.
I tutti i brani spiccano le decise, forti e mirabili capacità tecniche della band e, anche se tendenzialmente maggiori spazi sono destinati a porre in evidenza tastiere, c’è davvero spazio per tutti. Ottima prova di ciò è la dinamica “Overloading” con mirabolanti cavalcate di pianoforte, ma anche ritmiche particolari e interessanti, oppure “Staying up late” che unisce una splendida performance della vocalist Fossled ad una sezione fusion con bass solo sullo stile di Jeff Berlin.
Ancora da sottolineare il potpurri e l’ordinato caos ritmico di “The girl next door” dalla quale saltano fuori le doti canore di Linvat, con un excursus dal basso all’alto che lascia di stucco. E infine la meraviglia del disco con “Mourning”, solo pianoforte e voce, per una delle cose musicalmente più belle ed appassionanti che si possano sentire nelle recenti produzioni progressive, trasognante nella sua forza melodica, disarmante nel suo equilibrio e nel suo portamento fiero.
Chiudo, molto brevemente, consigliando di cuore l’ascolto di questo disco, così ricco e interessante da poter piacere un po’ a tutti progster ancorati al vecchio stile, progster indirizzati verso le novità contaminate e al cosiddetto 2.0 (bruttissimo termine), ma anche ai non progster, ma semplicemente appassionati di musica di qualità.



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Roberto Vanali

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