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FRANÇOIS BREANT Voyeur extra-lucide Egg 1979 (Musea 2004) FRA

Non senza un certo gusto provocatorio e autoironia, il tastierista francese François Bréant definì le proprie composizioni Bastard Music, esprimendo con ciò la consapevolezza che nella sua creatività confluivano molteplici influenze. Session-man piuttosto attivo sulla scena transalpina, esordì come solista nel 1979 con “Sons Optiques”, cui seguì, pochi mesi dopo, questo “Voyeur Extra-Lucide”.
Avvalendosi di un cospicuo numero di musicisti, molti dei quali provenienti dal giro Magma (Didier Lockwood, Lisa Deluxe, Stella Vander, Klaus Blasquiz), Bréant architetta un jazz-rock spesso e volentieri sfumato nella fusion, mentre i richiami classico-progressivi, pur presenti, non costituiscono certo l’aspetto preponderante. “Poursuite Sur Le Périphérique Nord”, dopo un inizio festoso e quasi easy (vedi lo Steve Hackett di “Cured” e “Highly Strung”), approda subito presso quei dignitosi lidi jazzy che poi, di fatto, non vengono più abbandonati. E se questa traccia è riconducibile ai Magma meno cervellotici del secondo periodo, la successiva “8 Août, 0H15, 125ème Rue” ama giocare con preziosismi à la Brand X; il titolo bislacco, peraltro tipico del genere di riferimento, conferma la volontà di non prendersi troppo sul serio. In assoluto uno dei momenti migliori del disco è “L’Amour Au Grand Air”, dove la virtuosa trama pianistica si coniuga perfettamente con le successive evoluzioni del violino di Lockwood: i paesaggi sonori, evocati con classe, sono talora ai confini con un’ambient pura e suggestiva, come si rileva del resto - però con accenti oscuri - anche in “Les Funérailles Du Voyeur”; gli appariscenti vocalizzi femminili di “Cadence D’Eperonnage” confermano la naturale inclinazione di Bréant verso immaginarie soundtracks. Prossima ad ambiti canterburiani è l’accoppiata “L’Eveil De L’Acrobate” / “L’Obus Rouillé, Trouvé Dans La Dune”: più liquida e delicata la prima, più chitarristica la seconda, ma entrambe pervase di quello spirito peculiare di Caravan e Hatfield & The North. “We Ate The Zoo”, invece, è un tipico divertissement zappiano, con buffi cantati e un clima a metà fra l’operistico e la banda da paese; sulla stessa falsariga la prima delle tre bonus tracks, ossia “KO” (‘88): la ritmica è in evidenza, e su di essa si affastellano con lepidezza i vari strumenti.
In seguito Bréant non ha più inciso altro a suo nome, e ha lavorato soprattutto in ambito world music: anche il nostro Tullio De Piscopo figura nel novero. “Voyeur Extra-Lucide”, con i suoi pezzi costruiti professionalmente e mai troppo dilatati, è disco che non annoia e si lascia ascoltare più che volentieri, pur senza raggiungere i livelli dei gruppi succitati: il classico prodotto di medio valore.

 

Francesco Fabbri

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