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BLUE DRIFT Mariner autoprod. 2005 UK

Questo power trio strumentale dà vita ad un album piuttosto interessante, dopo un esordio ("Cobalt coast" 2003) che, a quanto è dato leggere, non ha destato particolari scalpori. Il trio consta di John Lodder (basso e tastiere), Dave Lodder (chitarre e tastiere) e di Arch (batteria), quest'ultimo già noto per aver militato nella folk-Prog band The Morrigan. L'avvio di "Mariner" è quanto di più diverso si possa immaginare dal materiale dei Morrigan: la prima traccia "Flight of doom" è un brano hard rock potente che lascia presagire ben poco di buono per il prosieguo di quest'avventura, anche se si tratta di 4 minuti adrenalinici in cui i nostri danno bella prova delle proprie capacità. Tali capacità vengono messe a miglior frutto già a partire da "Nuclear train", la seconda traccia, anche se l'inizio si mantiene sulla stessa falsariga della precedente. Il virtuosismo chitarristico di Dave si mette qui ancor più in evidenza. La ritmica vola ancora alta, anche se la band inserisce in questo brano variazioni ed intrecci più complessi che spostano quanto meno l'indicatore verso un Progressive-Metal con buoni spunti ancorché carente di accenni melodici. Arriviamo quindi agli 8 minuti di "Deep space"... e le cose cominciano a cambiare decisamente. Il brano si muove decisamente su territori space, con effetti di basso e sintetizzatori, suoni quasi subliminali, ed un'atmosfera floydiana decisamente in controtendenza rispetto all'inizio dell'album. "Digging for chance" ritorna su atmosfere più terrene, con uno hard Prog non esasperato, un utilizzo maggiore delle tastiere (comunque in secondo piano) rispetto ai due brani iniziali ed una seconda parte decisamente caratterizzato da atmosfere soft fusion, anche se il finale ritorna sulle tonalità degli inizi. La breve "Half light" lascia poche tracce e ci fa giusto notare l'ennesimo parto virtuosistico di Dave, prima di lasciar spazio alla title-track, che chiude l'album coi suoi 21 minuti. Questa sintetizza dentro di sé tutte le differenti anime che abbiamo visto alternarsi finora, con le diverse attitudini dei singoli musicisti che si lasciano spazio l'un l'altra, in una vera e propria suite ricca di variazioni, contrasti, accelerazioni e pause ritmiche. Si tratta evidentemente, non fosse altro che per la durata, del brano di punta dell'album, ma non aggiunge né toglie nulla a quanto già descritto finora. L'album in definitiva si mantiene accettabile, con poche cadute di tono ed un livello generale quanto meno interessante.

 

Alberto Nucci

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