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PAOLO BALTARO Low fare flight to the Earth Musea 2009 ITA

E’ inevitabile che il nome di Baltaro faccia tornare alla mente quel che accadde nell’Italia prog degli anni 80’ - ’90 e quel meraviglioso fiorire di ottime band. Tra le tante, ma con un certo distinguo qualitativo, gli Arcansiel, con Baltaro prima al banco di regia e poi in prima fila come tastierista, bassista e cantante. Ancora qualche anno e poi gli MHMM e i S.A.D.O. per lavori curati e intelligenti, tra rock, blues, jazz destrutturato, avanguardia, pop e chissà che altro. Questo lavoro si presenta in maniera piuttosto anomala, in pratica l’acquisto pone in mano un bel padellone 33 giri, come si usava una volta, ma al suo interno c’è pure l’ordinario CD, che contiene anche un brano in più.
Per problemi logistici ho dato precedenza all’ascolto del CD e, mano a mano che le canzoni passavano, avvicinandomi all’ultima, ho iniziato a rendermi conto che nonostante i precedenti, l’etichetta, gli ospiti (che poi vedremo), non avrei ascoltato un disco di prog.
I ripetuti e successivi ascolti mi hanno posto di fronte ad un bel lavoro, cantato molto bene, suonato altrettanto, ma semplicemente fatto da canzoni rock, contenenti qui e là qualche lievissimo atteggiamento progressive. Essenzialmente parliamo di un rock moderno, ma con molti riferimenti ai Pink Floyd, soprattutto nel versante gilmouriano. Si potrebbero tirare in ballo anche i Porcupine Tree, ma si tratterebbe di un riferimento inutile visto che, a tutti gli effetti, il concetto sarebbe quello dei Porcupine Tree ispirati ai Pink Floyd, tornando così al punto di partenza.
I dieci brani sono interamente composti, arrangiati, suonati e cantati dallo stesso Baltaro, in una esplosione poliformica e polistrumentistica invidiabile, ma alcuni amici aiutano lo sviluppo strumentale di alcune tracce, tra loro Gianni Opezzo alla chitarra, Sandro Marinoni al sax e al flauto, Barbara Rubin controcanto e violino. Decisamente piacevole la linea melodica di tutto il lavoro, con la voce, sempre ottima di Baltaro, dalle tonalità tra Gabriel, Dave Lee Roth. Le tracce si allineano per qualità e risultato, senza singoli picchi e senza cadute di sorta. Da rilevare il (solito) stacco con voce stile trasmissione radiofonica (in quante canzoni dovremo ancora sentire certi estratti che fanno molto Pink Floyd/Marillion?) e una conclusiva e divertente “Goodnight Paris” che cavalca melodie settentiane alla Steeley Dan. Questo brano sulla carta durerebbe circa 11 minuti, è stato messo alla fine e mi domando chi non penserebbe, vedendo la scaletta, di trovare il brano prog alla fine. Ebbene no, il brano si sviluppa esattamente come gli altri e con i suoi 4 minuti di rock, solo che poi arrivano 7 minuti di silenzio assoluto e poi un finale con il nastro letto rovesciato. Anche se l’idea non è nuovissima, il Baltaro ci ha fregati.
Non aspettatevi, sinfonismi o barocchismi, niente di gotico, cavalleresco o progressivamente intricato, qui è (quasi) tutto solare e diretto, siamo all’ascolto di un bel disco rock cantato da una delle più belle voci del panorama nostrano. Se la cosa vi interessa, eccovi informati.

 

Roberto Vanali

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