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BEARDFISH Destined solitaire Inside Out 2009 SVE

L’universo Beardfish rotola come un masso senza freni e, in un impeto compositivo da fiume in piena, ci consegna, con puntualità, questo nuovo lunghissimo lavoro. Che spesso la forte coerenza stilistica possa portare il recensore a dover fare un copia incolla con le recensioni dei precedenti, è un dato di fatto e questo parrebbe essere il limite anche di questa band. In effetti quello a cui i Beardfish ci hanno abituati negli ultimi tre lavori è collegato da forte filo continuo, ma è tale e tanta la varietà di proposta, che tutta l’ipotesi finisce in fumo. Anche “Destined Solitaire” presenta questa forte peculiarità: parlare di prog narrando tutto quello che è stato prog in quarant’anni e infilando pure ogni sorta di citazione musicale, improvvisa, inaspettata e spesso sorprendente (in positivo e negativo). Nel fluire dei brani, alternati ai più disparati cambi di ritmo, di atmosfera e di espressione, ecco l’introduzione di ulteriori variabili, talvolta date da pochi secondi di elementi accidentali, fuorvianti, sbarazzini, forse inutili, generalmente divertenti. Torno a fare paragoni zappiani, non ovviamente per similarità musicale (ma cercando c’è pure quella), ma per queste birichine ed impulsive intrusioni, che qui possiamo trovare in un lampo growl, una fiatata rap-hiphop (aiuto, sì pure questa), qualche istante prog-metal, un po’ di tango, strappi da musical, da cabaret, da gospel, da soul, ecc. ecc…. Poi ovviamente c’è la parte, per fortuna dominante, di prog vero e proprio, che le solite citazioni di Gentle Giant, Pink Floyd, Jethro Tull, Zappa, Canterbury, Hendrix e, anche qui, chi più ne trova ne metta. Tutto questo che dico, lo so, è fuorviante. Perché è proprio questa gigantesca mistura lo stile consolidato Beardfish, non c’è mai plagio o emulazione, o meglio c’è, ma è un calderone che spersonalizzando non fa che rendere maggiormente unica la loro musica e la loro proposta, dando, alla fine dei conti, una buona idea di musica inedita e ricca di novità. Poi la complessità delle trame sonore, l’intrico ramificato delle strutture ritmiche e melodiche, non fanno che accrescere la positività d’ascolto.
Veniamo al disco. Già detto che è molto lungo, oltre settantasei minuti fitti, fitti, con molti parti cantate e testi interessanti, che parlano di società, sentimenti e delle loro alienazioni; l’espressiva, dinamica e cangiante voce di Rikard Sjöblom pensa a renderli tesi e drammatici o ilari, a seconda delle necessità. Nove brani dalla lunghezza e dai contenuti molto variabili. Interamente strumentale solo l’opener “Awaken the Sleeping”, un gran pezzo ricchissimo in variazioni e molto “suonato” dal quale salta lampante la notevole tecnica esecutiva e di arrangiamento dei quattro. Molto interessante lo sviluppo sonoro e melodico di “Coup de Grâce” dove l’esercizio, probabilmente accidentale, è quello di prendere un tango spagnolo (sviluppato quindi su ritmo ternario) e farlo suonare come un tango argentino (normalmente in ritmo binario) con chiara ispirazione ad Astor Piazzolla e, tocco finale, usando la fisarmonica a mo’ di bandoneon, decisamente divertente. Intrigante anche il finale hard tastieristico di “The Stuff That Dreams Are Made Of”, a cavallo tra i Colosseum e i Nice, con ben più di una citazione al Rondò di Brubaker, ovviamente nella versione emersoniana. Fortemente zappiana e cangiante in maniera furibonda è “In Real Life There Is No Algebra”, vero che contiene il citato pezzo rap e anche, in certi momenti, una ritmica dall’andazzo un po’ easy, ma in poco più di quattro minuti c’è una tale concentrazione di scenari che il tutto diventa quasi folle. Altra citazione doverosa per le belle intrusioni canterburyane è “Where the Rain Comes In” e per “Abigail's Questions (In an Infinite Universe)”, altro esempio di struttura zappiana (“Inca Roads”?)
Sicuramente una conferma in positivo, nel senso che chi ha apprezzato i lavori precedenti può buttarsi a capofitto all’acquisto e sentirsi questo disco decine di volte fino a scoprire ed amare tutti i risvolti, chi non regge questo stile trasversale e da calderone, già sa di non poter partecipare al sabba. Personalmente lo raccomando, fermamente.


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Roberto Vanali

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