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THE BARSTOOL PHILOSOPHERS Sparrows autoprod. 2009 NL

Negli ultimi venti anni i gruppi olandesi che si sono cimentati nel progressive non hanno certo brillato per originalità e sono spesso stati indicati come modelli perfetti di come non si dovrebbe fare prog… Così, quando ci si appresta ad affrontare una band proveniente dai Paesi Bassi si parte spesso con l’idea di sapere già a cosa si va incontro. In qualche raro caso si è smentiti e si possono trovare piacevoli sorprese lontane da precisi cliché. In altre occasioni ci si ritrova ad ascoltare musicisti capaci di esporsi con buon gusto o di indovinare giuste melodie. Purtroppo i Barstool Philosophers sono il tipico esempio di new-prog all’olandese con scarsissima sostanza. Si tratta di una formazione le cui radici risalgono alla fine degli anni ’90, composta da cinque musicisti che hanno già diverse esperienze nel campo con altre band, che hanno discrete capacità strumentali, che presentano un concept album che narra le problematiche scaturenti dal divorzio e che inanellano una serie di nove brani che non convincono proprio a causa della loro prevedibilità. La loro proposta è essenzialmente basata su un new-prog su cui si innesta un sound aggressivo in un mix che fatto bene può essere trascinante, ma che troppo spesso (e anche in questo caso) finisce per diventare una fiera di luoghi comuni. Ciò che emerge è un lavoro che, per quanto professionale e non privo di qualche buona intuizione (qualche finezza col piano qua e là), porta a galla tutte le lacune del genere: schemi triti e ritriti, ricerca di abbinare melodie ariose e robustezza per dare una certa accessibilità, spunti strumentali un po’ marillioniani un po’ più vicini all’hard-rock. Alla fine si avvertono un senso di freddezza ed una mancanza di idee che rendono l’album oltre che banale, anche noioso. Probabilmente ci sarà anche qualcuno che potrà trovare motivi di interesse per la generalizzazione del new-prog attuata dai Barstool Philosophers, accettando senza problemi la riproposizione di forme e canoni consolidati, ma quello che resta alla fine dell’ascolto di “Sparrows” è fondamentalmente il pensiero che non si avvertiva affatto il bisogno di un disco così.



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Peppe Di Spirito

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