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BATISFERA Solar wind – The inner circle Mals 2012 RUS

Questo è l’album di esordio dei Batisfera, anche se nel 2007 era già uscito un interessante EP a loro nome che è stato interamente inglobato, dopo essere stato registrato nuovamente, nella presente opera: si tratta per la precisione delle prime tre tracce. Fra gli elementi di spicco di questo gruppo troviamo Oleg Anurin, al flauto, alla voce e alle tastiere, che ha partecipato all’esordio discografico degli Infront del 2005, ed il batterista Michael Kheifels, membro a suo tempo dei Nyl, fra i primissimi gruppi russi a realizzare, nel 2002, un album di ispirazione new prog. A completare il gruppo ci sono poi Michael Zonov alle chitarre e Vladimir Kislyakov al basso.
Che si tratti di una band di esperienza e con le idee abbastanza chiare lo possiamo ben capire dall’ascolto di questo album che appare ben disegnato, a partire dal complesso concept incentrato sui pianeti del sistema solare che trovano un corrispettivo metafisico ove viaggiano le vite interiori degli individui. Il punto di partenza è il Sole che viene accomunato alla nascita di un figlio, evento sacro nella vita di un essere umano. Mercurio, così vicino al sole e lento nella sua rotazione, ha un lato sempre al freddo e l’altro esposto al calore della luce, esso simboleggia così la dualità fra bene e male che è insita in ogni persona. Venere, l’elemento più brillante del firmamento, riflette fortemente la luce del sole e appare brillantissima ma nella sua densa atmosfera vi sono temperature e pressioni altissime e piogge acide. Questo pianeta è stato associato alla vita di una bella donna che rimane soggiogata dai suoi ammiratori prima ancora di conoscerli meglio. Tutti i brani sono collegati l’uno all’altro da brevi intermezzi, nell’ordine “Transition A”, “B”, “C”, “D” ed “E”, tutti strumentali e molto delicati, fra i quali segnaliamo “Transition D” che propone una deliziosa variazione di un celebre tema di Debussy. Musicalmente ci muoviamo negli ambiti del prog sinfonico e romantico con continui sconfinamenti nel new prog. Possiamo riconoscere ampi riferimenti ai Pendragon ma anche agli Yes, soprattutto nell’incipit “The Sun, you are my son”, in cui anche la voce di Oleg sembra tendere, senza forzare troppo, ai registri acuti di Jon Anderson. Purtroppo però il cantato rimane l’unico fattore ad incidere negativamente in un album, dai toni lievi, ma molto ben fatto e direi che individuare un cantante di ruolo vero e proprio potrebbe essere una mossa da giocare in futuro. La voce di Oleg infatti è a volte stentata e del tutto fuori registro, come ad esempio in “Mercury, Who I am”, dove arriva a sciupare delle atmosfere davvero ben elaborate, ricche di passaggi Cameliani e ricercati inserti tastieristici alla Wakeman. Più Genesisiane sono le colorazioni di “Venus, Brought You Roses Every Sunday”, con lunghi ricami di flauto, purtroppo controbilanciati come al solito da un cantato quasi mai all’altezza. “Earth I’m Walking” presenta degli elementi più Emersoniani, sempre inseriti in un contesto melodico e romantico, mentre “Mars Four Years Since” sfoggia a tratti un cantato stranamente arabeggiante che spiazza un po’. “Phaeton Don't Touch Me!”, il pezzo di chiusura, è forse quello più energico e riesce a trascinare efficacemente l’ascolto fino al termine dei quasi ottanta minuti di musica del disco, nonostante le solite buche causate dalla performance canora.
Ribadisco che mi spiace molto per il passo falso offerto dal cantato perché nel suo complesso questo disco potrebbe risaltare fra le tante uscite di prog romantico, spesso fin troppo uniformi e patinate, offrendo una formula abbastanza ricercata, onesta e assolutamente non pompata e ridondante, incentrata inoltre su un concept interessante ma non cervellotico che dona all’album una visione unitaria che rende decisamente più piacevole l’ascolto dell’opera nella sua interezza. Spero quindi che questo album sia solo l’antipasto di qualcosa di entusiasmante e assolutamente non deludente, sempre che Oleg decida di dedicarsi soltanto alle sue tastiere che suona in modo molto ispirato.


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Jessica Attene

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