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THE BAD MEXICAN ••--- (Due) Lizard 2014 ITA

Signore e signori, ecco a Voi il ritorno del “Messicano Cattivo”, con tanto di musica d’accompagnamento che talvolta potrebbe anche far pensare ai polverosi confini che guardano verso gli USA. Dove magari, prima di varcare la frontiera, ci si è “stonati” con qualche sostanza psicotropa non ben indentificata ed il ritmo d’entrata risulta ancora più “schizzato” del protagonista stesso. I tre di Montepulciano – Tommaso Dringoli (chitarra, voce, percussioni), Filippo Ferrari (basso, voce, elettronica, percussioni) e Matteo Salutari (batteria) – sono tornati alla riscossa, dando conformazione a quella eterea alienazione tendente al “rumorismo” psichedelico che nell’esordio aveva comunque fatto intuire delle capacità ben precise. E siccome gli stessi Tre Moschettieri (quelli del romanzo omonimo) a suo tempo finirono per diventare quattro, acquisendo uno dei personaggi più rappresentativi dell’intera storia, ecco l’entrata in scena del sassofonista Davide Vannuccini, che comunque era stata anticipata al termine della passata recensione. Già allora si parlava del potenziale beneficio che uno strumento come il sax poteva apportare al sound degli sperimentatori toscani, il cui stile, per comodità, può essere indicato con la solita formula “RIO/avant-prog”, anche se ultimamente i recensori hanno spesso usato al riguardo il termine jazz-core.
Puntualizziamo subito una cosa: tutti, sempre per la solita comodità di cui sopra, si limitano a chiamare quest’album “Due”, ma in copertina, come riportato in alto, ci sono stampati due punti seguiti da tre trattini; il susseguirsi delle tracce, tra l’altro, non è affatto scandito dai semplici numeri (se ne facciano una ragione quelli che non sopportano le complicazioni!) bensì da questa successione di punti e linee tipo alfabeto morse, fino ad arrivare a contrassegnare il decimo pezzo con cinque trattini orizzontali. Peccato che nella pratica poi non esista affatto e che ci si fermi al brano numero nove! Tutto questo per dire fino a dove si spinge la loro proposta, avanguardistica fin nella presentazione formale, con delle scritte poste nella copertina color bianco-sporco che formano una specie di blatta capovolta…
Ci sarebbe anche da citare l’ospite Manuel Mazzetti, che con i suoi interventi di tromba dà un colore da tex-mex, tramutando le sperimentazioni in andamenti da mariachi poco raccomandabili. Ne è l’esempio il pezzo iniziale (chiamiamolo pure “Uno”…), con un attacco che all’unanimità viene considerato debitore (ed all’altezza) del crossover congestionato in tipico stile Primus (ci sarebbero da citare anche i finlandesi Utopianisti ed alcune cose più folli dei Phish), a cui fa seguito – per l’appunto – questa atmosfera simil western, con svisate acustiche e gli strumenti a fiato che narrano di ampi spazi bruciati dal sole cocente. La seguente title-track sembra riprendere il caotico passato death-metal della band, subito però interrotto dall’irruzione del sassofono, che poi si produce in una specie di jam acidissima fuori dagli schemi usuali con la chitarra elettrica, priva delle tipiche distorsioni che di solito ci si aspetterebbe in situazioni analoghe. Saltando l’ambient da torre di controllo del pezzo numero tre (simile a certe cose del Robin Taylor solista, fuori dai suoi Taylor’s Universe), al momento di sentire la quarta composizione ci si vede venire inaspettatamente incontro una sorta di ballad, che sul fruscio da vinile non può non far venire in mente i Radiohead, inframezzata da alcuni sperimentalismi ed un finale da polveroso dramma familiare ispanico (preferibilmente tardo-notturno) che nella struttura strumentale, con la tromba in evidenza, fa un po’ ricordare “Folk destroyers” (2008) de I Treni all’Alba.
Quanto viene subito dopo è una di quelle canzoni popolari tipica dei fuochi a cui ci si siede attorno nelle praterie che, pensandoci su un attimo, suona più canzonatoria che mai. Il sesto pezzo forse è il migliore, con un inizio da preparativo per un duello sotto il solleone a mezzogiorno, continuando con una stesura che deve sicuramente qualcosa al post-grunge, in cui prevalevano gli aspetti più meditativi. Anche qui, ottimo l’effetto della tromba, come se i Calexico avessero perso la strada di casa, con la chitarra che rimarca insistentemente lo smarrimento nei fantomatici spazi aperti di cui ci si faceva ambasciatori. Sembra che ormai si stia seguendo una strada ben precisa, forse relativamente più convenzionale, ed infatti la divertente commistione tra punk e surf-twist in stile Tarantino della traccia sette pare cadere a pennello; ma l’incedere mesto di un treno, che viaggia costantemente sulle rotaie nel pezzo numero otto, diventa ancora più desolante quando entra una chitarra ad accompagnarlo nel suo viaggio apparentemente senza fine, con un cantato che poi sa di eterna malinconia. Fino a chiudere con l’ultima composizione, che con il suo rinnovato minimalismo, le sue frasi sovrapposte (o sovraffollate?) e un ansimare sempre più isterico dà un brusco colpo di spugna a tutto quanto l’ha preceduta.
Potrà sembrare una ripetizione, ma molti dei pezzi di questo secondo album, che chiamiamo “Due”, sembrano davvero trovare una loro precisa collocazione nell’aria che si respira a tarda notte, magari quando fuori c’è caldo. Si tratta di sfumature che vengono colte man mano che si succedono gli ascolti, perché all’inizio l’intero lavoro potrebbe essere facilmente liquidato come una vera e propria presa per i fondelli. Non è così. Piaccia o meno, il cosiddetto “Due” è molto meno superficiale di chi invece si lascia andare a facili considerazioni, magari facendosi forte di chissà quale sapienza sul campo. Indipendentemente dai gusti personali, il ritorno del “Messicano Cattivo” è un’uscita più che valida. Non certo il capolavoro che si cita sempre quando si ha tra le mani qualcosa di non facile ascolto, che fa tanto “intellettualoide”, ma i nostri hanno le carte in regola per elaborare un grande album nel futuro prossimo venturo. Sempre che lo vogliano veramente, perché anche questo è da mettere in preventivo.
Se nel booklet del primo album c’era un rebus da risolvere, stavolta troviamo una pista cifrata più folle di loro. Unite con un tratto di penna il caos di puntini che si sovrappongono da 1 a 103… e vedrete che cosa apparirà!


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Michele Merenda

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