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BASTA! Elemento antropico Lizard Records 2016 ITA

Una storia lunga quella che sta dietro questo primo full-length della band fiorentina, nonostante il gruppo stesso sia nato non più tardi del 2011. L’esordio discografico avvenuto sotto forma di EP l’anno successivo – grazie al primo posto ottenuto all’U-Festival toscano – col senno del poi è stato infatti collegato concettualmente a questa uscita, costituendone praticamente la fine della storia. “Elemento antropico”, a posteriori, è quindi ciò che cinematograficamente viene definito un prequel, cioè la ricostruzione di tutto quanto è accaduto prima. Storia lunga si diceva, cominciata a quanto sembra nel 2013 durante una visita di quello che all’epoca era un quartetto dentro l’Antro del Corchia, un complesso di grotte sotterranee che si trova nelle Alpi Apuane. Durante questa visita circolare, nacque l’idea di creare una suite prog in tre parti, che all’inizio era suddivisa in “Entro nell’Antro”, “Dentro l’Antro” e “Sorto dall’Antro”. La suite di cui sopra avrebbe subito dei cambiamenti, anche nei titoli, ma l’idea dell’elemento “Antro-pico” era già diventata solida. Nel frattempo, entra in formazione il bassista Giacomo Soldani ed il gruppo raggiunge il suo equilibrio. Grazie all’interazione ritmica col batterista Roberto Molisse e agli incastri chitarristici di Saverio Sisti, Andrea Tinacci con i suoi clarinetti sperimenta soluzioni inusuali ed il tastierista Damiano Bondi apporta elementi dal sapore folcloristico-circense sfruttando soprattutto il suono della diamonica. Ed è per l'appunto il circo l’elemento caratterizzante l’intera storia, che inizialmente avrebbe dovuto parlare di tale Rino Raudo, il quale, dopo essersi riparato da un acquazzone proprio sulle Alpi Apuane, avrebbe battuto la testa poco prima di aver visto una luce color porpora, esattamente come recitava il titolo del primo brano che apriva l’EP. La musica ha invero una sua originalità e potrebbe ricordare a tratti la PFM, in altri magari i Gentle Giant, senza il timore reverenziale di sconfinare in territori più hard e, se occorresse, di tirare in ballo anche elementi jazzati oltre al già citato folk.
L’album è principalmente strumentale, con la narrazione ad opera di Riccardo Sati che parla di quello che poi è diventato il personaggio chiave della vicenda: Samuel. Il riferimento è da individuare in Samuel Wasgate (1855-1939), orfano che lavorò nel circo del signor Farini, vestendo spesso i panni della donna cannone Lulù (in cui ci si imbatterà verso la fine dei brani). Nel pezzo “Il muro di Ritmini Strambetty” vi sono vari elementi italici, forse anche il Banco più bucolico, prima di lasciare il passo a “Doombo (l’elefante del destino)”, gran pezzo che mette un gran brio (scusandomi per il gioco di parole!), ricordando I Treni all’Alba, ma più elettrificati e con maggiori elementi, magari meno ripetitivi. Il circo irreale e grottesco descritto in “Zirkus” lascia il passo a “B alla D”, poco meno di quattro minuti in cui l’atmosfera da fiera paesana è leggera e anche un po’ malinconica, prima di arrivare alla seconda parte della suite, “Entro l’Antro”; un buon momento del lavoro preso in esame, con atmosfere anche esotiche, dove la chitarra ed il clarinetto basso si scambiano spesso i ruoli. I due minuti di “Intro” sono narrati da mr. Fabio Zuffanti, le cui parole sono state estrapolate ed in parte rivisitate dalla canzone “Signor Farini” del canadese Ian Bell, dedicata proprio alla storia di Samuel Wasgate. “Schiacciasassi” è decisamente più dura, con un bell’assolo quasi in stile vecchio Allan Holdsworth dell’ospite Alessandro Giglioli. “Countdown” mette in scena Farini che decanta Lulù prima del lancio, anticipo de “L’uomo cannone”, in cui si alternano momenti duri, altri sempre circensi ed altri ancora in odore Camel, oltre a dei particolari intrecci nel finale, in cui si sente l’esplosione. Si chiude con “Esco dall’Antro”, un bell’esempio di hard-prog, definizione stavolta calzante e non usata tanto per definire qualcosa che suona solo “pesante” e che si vuol per forza inserire nel progressive.
L’ascolto della storia si conclude piacevolmente; magari ci si sarebbe aspettati qualche acrobazia strumentale in più, ma l’ambientazione sembra essere stata ricreata bene, all’insegna di un prog di matrice assolutamente italica. Forse le sonorità potranno sembrare un po’ troppo simili ad altre band nostrane attuali, che si rifanno in maniera evidente agli anni gloriosi che furono, dando magari l’impressione di “giocare a fare i progressivi” e a non provare quindi altre soluzioni, ma il lavoro risulta comunque gradevole, ben suonato, ben prodotto nella sua semplicità e quindi per adesso va bene così. Un appunto alla casa discografica: alcune confezioni presentano un ordine errato dei brani, quindi si consiglia l’ascoltatore di rifarsi a quello presente sul relativo bandcamp del gruppo toscano.



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Michele Merenda

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