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FABRICE BONY 7 + ∞ autoprod. 2018 FRA

Il percorso solista di Fabrice Bony, le cui uniche tracce precedenti ci parlavano solo di alcune collaborazioni con gli Ange (collaborazioni che peraltro continuano), inizia nel 2008 e da allora ha pubblicato solo altri tre album, incluso il presente. Se i suoi inizi ci parlavano di una Prog sinfonico delicato ed etereo, spruzzato di jazz ma con atmosfere spesso decisamente ambient, questo nuovo lavoro, dal titolo singolare, si spinge decisamente oltre, quanto a complessità della proposta musicale. A proposito del titolo, la spiegazione che viene data si riferisce alla presenza nell’album di 7 canzoni/composizioni, più un ottavo titolo che in realtà è una sorta di manifesto, solo parlato, con l’ausilio di molte voci che si esprimono in molte lingue.
La musica che andiamo a trovare ci sorprende indubbiamente. La prima traccia “Tuatha de Danann” sembra incredibilmente un brano dei Minimum Vital o dei Magma meno ostici, con cori e ritmiche spostate sul versante jazz ma al contempo con aperture ariose, con un piano elettrico in bella vista e bella chitarra elettrica dalle sonorità fusion. La strumentazione è quasi tutta appannaggio dello stesso Fabrice (che nasce batterista ma col tempo ha notevolmente esteso le proprie competenze), con alcuni ospiti che aggiungono suoni di sax, tromba, violino, flauto, bansuri, violoncello e arpa giudaica. Un bel pezzo, 10 minuti gradevoli e ariosi che ben ci predispongono per il prosieguo.
Il prosieguo invece è di tutt’altro tenore. La successiva “Toundra” vira decisamente verso la musica d’avanguardia, ambient, delicata ed evocatrice, con leggere linee di piano che s’intrecciano coi litofoni e altre strane percussioni, sfociando in atmosfere mistiche e incantate. Poco cambia con la successiva “caravan of Whales”, più incentrata sul suono lontano della tromba che ci guida in un crescendo quasi ascetico.
Nella lunga e deliziosa “Ukiyo-e” è invece la voce di Samantha Claire Zaccarie a guidarci attraverso armonie delicate che riprendono in qualche modo alcune movenze zeuhl ma con una dolcezza e morbidezza decisamente poco magmiane.
“Celtia”, come suggerisce il titolo, propone una divertente (e ben orchestrata) escursione in terra d’Irlanda, mentre “Lament for the Ocean” ha un incedere un po’ inquietante e, appunto, lamentoso, ancora muovendosi in territori contigui allo zeuhl. L’ultima traccia regolare, “Silex” è costituita in realtà da un suono di campanellini che si protrae per 3 minuti. L’ottava traccia, come detto, è una cosa particolare in cui molte voci parlano, in molte lingue, su un sottofondo musicale un po’ cinematico e di sottofondo.
Un album poliedrico che mette ancora una volta in mostra la perizia tecnica di Fabrice e si muove decisamente oltre quanto proposto nei primi due album. Il risultato non è tutto ugualmente apprezzabile ma senza dubbio interessante e non certo privo di momenti degni di nota e di atmosfere intriganti.



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Alberto Nucci

Collegamenti ad altre recensioni

FABRICE BONY Between day 2008 
FABRICE BONY Inner lands 2013 

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