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JOE BOCHAR |
Anvilhead |
RHP |
1997 |
USA |
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Lo statunitense Joe Bochar è per diversi aspetti inseribile nel filone dei guitar-heroes, che ha annoverato i vari Malmsteen, McAlpine e Impellitteri,, tuttavia egli rifugge con intelligenza gli assoli più interminabili preferendo puntare sulla stratificazione degli arrangiamenti. Ne esce una specie di symphonic-metal (avvertenza: le tastiere , le poche volte che ci sono, risultano quasi inudibili) interamente scritto, suonato -eccezion fatta per il basso su alcune tracks - registrato, missato e prodotto dallo stesso Bochar. L'influenza che più spesso si rileva è forse quella di Steve Vai; certi istrionismi vagamente jazzati rimandano poi a Zappa, mentre mentre alcune intro di blues evoluto mi hanno ricordato Hendrix. L'aspetto tecnico-esecutivo del disco è inappuntabile, come avviene di norma nei lavori di tale ambito; buono anche il profilo energetico generale. Quest'ultimo però finisce per costituire il limite maggiore, provocando quel livellamento che rende i vari pezzi un po' uniformi, tanto che l'ascolto tutto d'un fiato del cd fatalmente stanca. In queste opere è in definitiva la tessitura melodica ad apparire carente, e dischi così si possono consigliare allo studente di chitarra elettrica più che all'ascoltatore in cerca di emozioni.
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Francesco Fabbri
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