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COMUS First utterance Dawn 1971 (Breathless 2006) UK

Bellissimo e inquietante, questo album può essere considerato un classico minore del prog britannico, abbastanza conosciuto e apprezzato anche da chi non si professa un archeologo in cerca di tesori sconosciuti. Si tratta di un'opera bizzarra e coraggiosa, decisamente contro tendenza, dalle tematiche gotiche e grottesche: un viatico per un viaggio nelle brutture e negli eccessi dell'umanità. Non a caso il gruppo sceglie di chiamarsi col nome della divinità figlia di Circe e Bacco e colloca in copertina una creatura deforme che si contorce in uno spasmo doloroso. Come i testi si ispirano a situazioni macabre, così la musica accompagna l'ascoltatore in una specie di incubo in cui si intrecciano vocalizzi strazianti e contorsioni sonore spettrali e brutali. E' strano pensare che gli strumenti suonati dal gruppo sono per lo più acustici, con un uso estensivo del violino, della viola e del flauto ma è proprio da queste contraddizioni e da questi contrasti che l'album trae la sua oscura bellezza. Strumenti gentili che ci portano nell'ambito della musica sinfonica, usati per costruire sequenze sonore intricate, vigorose, capaci di suscitare sensazioni forti e spesso disturbanti a livello emotivo.
Ben due brani fanno riferimento al mito di Comus, come descritto dal poemetto pastorale del poeta inglese John Milton, "A Mask", in cui la castità di una fanciulla è attentata, senza successo, dalla malvagia divinità. Nella traccia di apertura, "Diana" (rilasciata anche come singolo), viene ritratta la fuga di una fanciulla che cerca di sottrarsi al suo inseguitore attraverso un bosco tetro e pieno di insidie. L'ambientazione sonora è suggestiva e drammatica: la voce di Roger Wootton (autore tra l'altro del disegno della copertina), che si divide fra urla, sospiri e vocalizzi macabri, ha qualcosa di demoniaco e sembra quasi risvegliare una foresta animata di spiritelli che si rinchiude sulla vittima in fuga. Ritmiche tribali, cori grotteschi, riff acustici suonati strappando quasi le corde della chitarra ed i violini, dal fascino gotico, fanno il resto. In "Song to Comus" il mito della divinità malvagia viene descritto con maggiore precisione: in questo caso agli intrecci della chitarra acustica si affianca anche il flauto in una ballad dal sapore quasi Tulliano, interpretata con grande vigore. Un efferato delitto e le perversioni erotiche dell'assassino, vengono dipinte col feeling gotico di un racconto di Allan Poe in "Drip Drip". Il carnefice viene attratto dal corpo della vittima innocente, allorché questo viene calato nella fossa, candido ma ricoperto da sangue che gocciola (come sottolineato dall'ossessivo ritornello drip, drip…) e melma. "The Prisoner" tratta il tema dell'insanità mentale visto con gli occhi di uno schizoide paranoide (questa la diagnosi descritta nel testo) e questa volta i sentimenti che emergono sono di isolamento, solitudine e malinconia. Degno di nota il fraseggio di apertura della chitarra acustica, dal sapore vagamente spagnoleggiante. "The Bite" si ispira invece al martirio cristiano, evocato con una crudezza narrativa quasi surreale. I tempi sono movimentati ed il flauto col violino si inserisce fra i riff di chitarra in maniera brillante, in un'atmosfera di fondo che sembra, in contrasto, quasi spensierata. "Bitten", l'unico brano strumentale, sembra l'ideale sottofondo per un film dell'orrore. Si tratta comunque di una traccia breve, appena due minuti, dominata dal violino e da una chitarra elettrica (è uno dei pochissimi episodi in cui si sente uno strumento elettrico) che tuona letteralmente. "The Herald", la seconda traccia (la più lunga con i suoi 12 minuti circa), è un brano dal sapore idilliaco ed onirico che si discosta un po', per queste sue particolari atmosfere da foresta incantata, dal resto dell'album, giocato invece su sentimenti forti a tinte macabre. Ancora una volta la costruzione del pezzo è tutt'altro che lineare e la voce solista, che questa volta è femminile, dona al pezzo una grazia un po' insolita.
Questa ristampa (che presenta una bella confezione cartonata, corredata da booklet con testi) è completata da alcune bonus track: la versione del singolo di "Diana", che non differisce molto dall'originale, e un altro paio di tracce acustiche dal sapore folk insolitamente romantiche, "In the Lost Queen's Eye" e "Winter is a Coloured Bird", (tutte estratte da un EP del 1971 edito sempre per la Dawn Records). Il gruppo ha realizzato, poco prima di sciogliersi, un secondo album nel 1974, "To Keep from Crying", considerato comunque di livello inferiore e sicuramente meno sperimentale del debutto. Se non avete paura di perdervi in un bosco stregato e vi affascinano i racconti del terrore, sicuramente questo album affascinante ed inquietante potrebbe essere un acquisto interessante.

 

Jessica Attene

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