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CHALCEDONY Chapter II Rusalka Records 2011 UK

Non è una novità che, soprattutto nel periodo pre-internet, il prog fans decidesse di acquistare o meno un determinato album in base (anche) a quanto apprezzata fosse la copertina. Beh in base a questi criteri di selezione credo che nessun progster avrebbe mai deciso di fare proprio il nuovo album dei Chalcedony intitolato “Chapter II”, la cui cover ricorda piuttosto Marylin Manson!!!
Invece quello che ci propongono i Chalcedony (che di fatto sono il solo artista, con il suo nome d’arte, ed il fratello Chris Wilson alle chitarre) è un rock sinfonico piuttosto variegato che spazia dallo heavy alla musica classica. Il background del polistrumentista britannico è infatti quello di pianista classico a cui si è aggiunta poi la passione per la batteria (strumenti che suona anche nell’album insieme al basso, al violoncello e al flauto, oltre a cantare, of course).
Il concept, perché di album a tema si tratta, è la storia di un uomo che soffre di agorafobia che ne limita fortemente le capacità in particolare quella di suonare la propria musica, ed è l’ideale proseguo di “Chapter I” di qualche anno fa.
Nella nuova release l’artista è un fiume in piena: partiture classiche, hard rock, aperture sinfoniche, sprazzi etnici (“India”), tanto da risultare sovente spiazzante per l’ascoltatore per le mille sfaccettature che vanno a comporre i 10 brani del lavoro.
Il cantato dell’album, seppur pertinente alla storia raccontata, è tuttavia così preponderante da rendere, talvolta, pesanti le dinamiche melodiche.
I 78 minuti di “Chapter II” potrebbero quindi alla lunga stancare, anche se non pochi sono gli episodi decisamente ben fatti.
Su tutti “Regyne” dapprima sognante ballad, poi deciso heavy rock con un bel lavoro sul finale della chitarra solista di Chris Wilson. Il brano è anche quello dalle melodie più convincenti dell’intera raccolta.
Altro bel pezzo “Wrong again”. L’introduzione malinconica con le sole “voci” di pianoforte, flauto ed archi sfocia poi in un crescendo rock (un po’ alla Queen) in cui possiamo anche apprezzare la bella voce di Chalcedony. Di buona fattura “Mechanical wind”, esemplificativa dell’eterogeneità dell’album: prog sinfonico con venature heavy e momenti più pacati e di atmosfera.
Soffre un po’ di ipertrofia la pur piacevole suite conclusiva “Final love”: convincenti i momenti dal sentore classico (soprattutto nella seconda parte) piuttosto che gli sprazzi “pesanti” a grana grossa.
Il problema principale dell’album è proprio questa ambiguità di fondo fra “classico” e “heavy” (non necessariamente inconciliabili) che permette solo in parte all’artista di sviluppare in modo armonico ed efficace le sue numerose idee. Risultato : un lavoro a volte troppo prolisso.
Promosso comunque. Con riserva… di sintesi…



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Valentino Butti

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