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CAILYN Four pieces Land of Oz Music 2012 USA

La polistrumentista Cailyn Lloyd presenta il suo terzo album come un prodotto che fin dal titolo si rifà esplicitamente alla musica classica (sarà casuale pensare subito a “Le quattro stagioni” di Vivaldi?). L’intento è quello di estrapolare lunghi tratti di fasi musicali che meglio si adattano a dei rifacimenti neo-classici in chiave prog. Essendo Cailyn principalmente una chitarrista (o almeno così pare…), probabilmente questa è una pubblicazione che andrebbe rivolta agli amanti dei guitar-heroes, nonostante le roboanti intenzioni. La bravura c’è ed anche la profonda conoscenza dei classici, ma è molto arduo dire se ciò basta per essere inseriti nell’ampia dimensione progressive, nonostante quest’ultima presenti contorni tutt’altro che definiti. Tra l’altro, un pezzo come “Fantasia”, re-interpretazione di “Tallis Fantasia” di Vaughan Williams, con i suoi tredici minuti e mezzo appare davvero troppo lunga e non sempre si riesce a mantenere l’attenzione vigile; nonostante le variazioni continue, infatti, si ha la continua sensazione che l’incedere rimanga sempre il medesimo, dando un senso di stanchezza a chi non è fan sfegatato di certe evoluzioni. Ed anche da quest’ultimo punto di vista occorre ricordare che personaggi come Tony Macalpine o Vinnie Moore (per tacere volontariamente su un certo svedese biondo-crinito) hanno già da tempo costituito parametri di paragone con cui è davvero arduo confrontarsi.
“Largo” è un arrangiamento molto personale del secondo movimento di “New World Symphony” di Dvorak, che solo dopo quattro minuti comincia a far sentire qualcosa di personale, con un approccio blues molto gradevole che si articola lungo delle ritmiche dispari. Ma anche qui si pone lo stesso problema: dov’è lo spunto che fa impennare il brano, capace di mettere entusiasmo anche all’ascoltatore non fanatico delle sei corde? Da questo punto di vista “Adagio”, un adattamento di “Adagio for Strings” di Barber, con il suo crescendo sembra centrare meglio l’obiettivo.
Si chiude con “Nocturne”, brano stavolta originale che si rifà (anche qui fin dal titolo) alle composizioni per piano di Chopin e Schubert. Forse la nostra Cailyn l’avremmo voluta sentire così per tutta la durata dell’album, magari con una maggiore incisività e non con una produzione che fosse “soltanto” pulita e professionale, ma capace anche di comunicare qualcosa che non si riducesse alla mera eleganza.
Della Lloyd non si può parlar male, perché comunque è una professionista in gamba e che deve anche aver studiato parecchio. Ma questa è la differenza tra chi continua a portare avanti un Sapere accademico e chi invece abbraccia la difficile strada del Sapere speculativo. I primi, dopo tanto sudore, avranno un avvenire relativamente in discesa ma che per forza di cose ad un certo punto presenterà dei limiti; i secondi, al contrario, alla ricerca di qualcosa che vada al di là degli schemi precostituiti, per lunghi tratti cadranno su loro stessi, ma persistendo nella ricerca approderanno a risultati che vanno oltre l’immaginazione. Per intenderci, questo è il bivio che si pone davanti a strumentisti come Cailyn Lloyd.


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Michele Merenda

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