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COZHE Pressure fractures autoprod. 2012 FIN

Il tastierista e cantante finlandese Janne Rijkard Nevelainen arriva al debutto discografico in età già matura, considerando che è classe 1967. Sotto certi aspetti è il coronamento di un sogno che porta avanti fin dall’infanzia, quando cresceva ascoltando la buona musica degli anni ’70 e proseguito poi con l’adolescenza accompagnata dai Pink Floyd e dall’approfondimento del progressive rock. Ma solo nel 2001, grazie all’incontro con il batterista Harri Kokkonen, Nevelainen comincia a suonare in una band che ha come obiettivi quello di migliorarsi tecnicamente e quello di giungere alla pubblicazione discografica. Il sodalizio tra i due si rafforza nel 2009, quando entrano in contatto con Ken Hensley degli Uriah Heep, che dà loro importanti suggerimenti per quanto riguarda il lavoro di composizione e di produzione. Così, le basi gettate negli anni precedenti cominciano a prendere forme più definite, le canzoni abbozzate ricevono nuova linfa e pian piano nasce quello che oggi è “Pressure fractures”, il primo cd realizzato dal gruppo Cozhe, che vede, oltre la presenza di Nevalainen e Kokkonen, Joni Seppälä alle chitarre e Sami Järvinen al basso. Nell’album possiamo ascoltare prevalentemente quello che indicherei come un hard-progressive-rock ben fatto e lontano sia da estremismi tecnici che da eccessi di aggressività. L’introduzione già ci mostra interscambi intelligenti tra chitarra elettrica e tastiere su ritmi duri, ma non esageratamente pesanti, ma è con la prima parte della title-track che si entra nel vivo del lavoro e la band mostra subito un buon songwriting in un brano che alterna accelerazioni e pause d’atmosfera, mentre il cantato mantiene toni enfatici. Le successive tracce si mantengono grosso modo su questa scia; magari ogni tanto si trova la distorsione chitarristica in più, o il frangente classicheggiante e, nonostante i Cozhe si mantengano lontani da spinte innovative o da sperimentazione, riesce a venir fuori una certa personalità. Ogni pezzo proposto si lascia ascoltare con piacere, si denota un certo buon gusto, sobrietà, evitando lungaggini inutili e mostrando senso della misura nelle riuscitissime parti strumentali. Manca sicuramente la scintilla che può rendere memorabile quel passaggio o quella frase melodica, ma il giudizio sull’album non può che essere positivo. Apprezzabile anche la scelta di non far superare al cd i tre quarti d’ora di durata; questa caratteristica, unita all’omogeneità dei brani, fa sì che tutto scorra via in maniera molto naturale e senza cali di tensione. C’è infine da aggiungere che per essere un’autoproduzione tutto è curato al meglio, dalla registrazione fino all’artwork. Dopo quest’esperienza, i Cozhe ci hanno preso gusto e sono già al lavoro per quello che sarà il loro secondo album. Quando uscirà capiremo meglio se “Pressure fractures” contiene solo promesse o se è il primo passo per far sì che la band diventi una piacevole realtà che può regalare buona musica a quelle frange di appassionati che amano il lato robusto del prog


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Peppe Di Spirito

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