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CIRRUS BAY Places unseen autoprod. 2016 USA

I Cirrus Bay sono giunti al loro quinto album… e io non ne avevo ascoltato neanche uno…? E dov’ero finora??
Parlando un po’ di storia, c’è da dire che i Cirrus Bay sono il frutto dell’incontro tra Mark Blasco e Bill Gilham, entrambi polistrumentisti, che da sempre ne costituiscono il fulcro. Il primo album uscì nel 2008 e, nel corso del tempo, vari musicisti e vocalist si sono succeduti al loro fianco; per questo “Places Unseen” alla voce c’è Tai Shan, che ha appena preso il posto delle altre co-fondatrici Sharra Acle e Anisha Gilham (quest’ultima aveva lasciato già dopo il terzo album) e ai fiati (sax e flauto) Brendan Buss.
La musica che il gruppo ci propone viene etichettato neo Prog ma francamente io ci sento molto Yes, Renaissance e Glass Hammer, con atmosfere bucoliche spesso delicate e sognanti, in cui il morbido cantato femminile sembra volerci cullare, raccontandoci storie dolci ed idilliache. C’è molto spazio tuttavia per gli intrecci strumentali, essendo il cantato utilizzato con parsimonia e preferendo lasciar parlare la musica, altrettanto ammaliante e dolcemente sinfonica.
Il fatto che a suonare siano in pratica solo in due non inficia più di tanto il risultato; i nostri riescono a donare pienezza al suono e a creare atmosfere sinfoniche pienamente coerenti, in cui la delicatezza dei temi non è sinonimo di povertà di arrangiamenti.
All’interno degli 8 pezzi di cui si compone “Places Unseen” non mancano comunque momenti più movimentati ed up-tempo, come nella deliziosa “First Departure”, 11 minuti di delizia sinfonica che ci riporta ad atmosfere Yes-style anni ’70 (“Yes Album” o CTTE), con una chitarra molto alla Howe; una cavalcata quasi mozzafiato fino alla sua repentina virata su atmosfere più pastorali che ci accompagnano fino alla fine.
“Dimension 7” è uno strumentale, abbastanza intricato in quanto ad armonie ma dalla ritmica contenuta, quasi un pezzo RIO sinfonico, piuttosto strano nella sua apparenza. “The Sheltering Cove” è un altro bel brano che prende le mosse su sonorità alla Renaissance, col delicato cantato di Tai in primo piano, per virare su umori più genesisiani, per poi terminare ancora sulle atmosfere iniziali.
“Horseback To Hanssonland” è invece uno strumentale che è stato realizzato come omaggio alla musica di Bo Hansson e pertanto si differenzia musicalmente dal resto delle altre tracce, con ritmiche dinamiche e un maggior utilizzo dell’organo.
“Songs Unheard” e “Boats” sono i brani in cui si sente maggiormente la voce di Tai; più delicata e quasi pop la prima, più frastagliata e quasi psichedelica la seconda (un po’ tra Caravan e Yes).
I 10 minuti finali di “Second Departure” invece risultano un po’ sottotono, mulinando un po’ a vuoto temi musicali stiracchiati.
L’album è comunque, nel suo complesso, decisamente gradevole; una valida aggiunta a qualsiasi collezione di dischi Prog.



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Alberto Nucci

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