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SIMONE COZZETTO Wide eyes Godfellas 2017 ITA

Ogni anno, o quasi, una nuova realtà musicale si affaccia, con buoni risultati, al proscenio del progressive rock di casa nostra. E’ il caso del giovane polistrumentista romano Simone Cozzetto e del suo album d’esordio intitolato “Wide eyes”. Un concept album, come tradizione ormai consolidata del genere (o attitudine che dir si voglia…), dinamico, moderno, ben suonato e altrettanto di fruibile ascolto. In breve la storia alla base dell’album: il protagonista, vinto dal sonno, si addentra nel mondo dei sogni e delle emozioni ad essi legati fino a trovare la strada per uscirne, riacquistando, finalmente la libertà. Tredici brani che vedono l’autore destreggiarsi alle chitarre, al basso, alle tastiere (oltre che in “effettistica” varia) aiutato, tra gli altri, da Titta Tani (Goblin, voce in un brano) e dal chitarrista Kee Marcello (Europe, in tre pezzi). Nel curriculum di Cozzetto c’è anche la partecipazione al progetto “Echoes” (come chitarrista), tribute-band dei Pink Floyd, ai quali l’autore si ispira chiaramente in “Wide eyes”.
Veniamo ora all’album. Dopo un breve e soffuso brano iniziale (“Lullaby pr.1”) si entra nel vivo del concept con “Awakening” movimentato brano dominato dall’elettrica e dalle tastiere. Gli archi, sostenuti dal piano, ammantano il brano di un’atmosfera malinconica anche se non mancano accenni marcatamente rock grazie ad una ritmica sostenuta e molto dinamica. Uno sferzante hard rock, “Lost in the night”, ben interpretato da Titta Tani, prelude al primo brevissimo intermezzo strumentale. Si riprende con “The void”, uno dei pezzi più importanti del lavoro (qui, alla voce, come negli altri brani, l’ottimo Francesco Marino) che, complice l’elettrica di Cozzetto, i cori ed il sax (Gabriele Capocchi) ci immergono nel magico mondo floydiano. Dopo un altro breve intermezzo, un altro pezzo da 90: “Spiral of dust”. Introduzione affidata agli archi, un bel “solo” tra Hackett e Gilmour ed un leggero sottofondo psichedelico per un brano davvero riuscito. Seguono tre pezzi più soft: “Intermezzo III”, “The Lord of Bareness” (due minuti di delizia acustica) e “The diamond-intro” per sole voci e pianoforte. Un bello heavy rock come “The diamond” e l’arioso dipanarsi di “The albatros” ci riportano al punto di partenza con “Lullaby part 2” che in modo circolare chiude l’album.
“Wide eyes” è un convincente esordio, senza punti deboli o lungaggini inutili. Un buon biglietto da visita per una giovane promessa della musica “alternativa” italiana.



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Valentino Butti

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