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CHROMIUM HAWK MACHINE Annunaki Black Widow Records 2017 UK/USA

Recensire dischi può essere un atto eroico. Sono giunto a questa conclusione dopo aver affrontato l’ascolto di "Annunaki". Ascolto ovviamente ripetuto almeno un paio di volte per essere sicuro di non aver avuto allucinazioni uditive. Non è stato semplice, perché le quasi due ore di durata spalmate su due cd mi sono sembrate ogni volta interminabili. Scrivere, invece, è stato facile e quasi catartico, contrariamente a ciò che mi accade quando devo recensire qualcosa che mi piace.
I Chromium Hawk Machine sono un trio composto da Nik Turner, storico sassofonista e flautista degli Hawkwind, Helios Creed, veterano della scena industrial-noise-stoner statunitense, e Jay Tausig, autore di uno sterminato numero di album di space rock. Si tratta, quindi, di una sorta di supergruppo. Mi piace immaginarli come tre amici che si sono riuniti per fare una lunga jam, e non riesco ad pensare diversamente dato che credo sia impossibile scrivere nota per nota la musica contenuta in "Annunaki". Visto il background, ci troviamo di fronte ovviamente ad una celebrazione dello space rock psichedelico alla Hawkwind, dei quali, ad essere sinceri, non sono mai stato un grande fan. Sono in grado di apprezzare le cose migliori che hanno fatto in passato ma li ho sempre trovati troppo ripetitivi, e preferisco di gran lunga lo space rock più elettronico o d'atmosfera. "Annunaki" è sostanzialmente un immenso trip sonoro fatto di lunghi (o lunghissimi, anche trenta minuti di durata) brani costruiti su labili idee di base su cui i musicisti improvvisano in libertà più o meno assoluta, con tanto di contorno testuale spiegato nel libretto basato su una rilettura della creazione del cosmo (Annunaki è un termine indicante il complesso delle divinità nelle religioni mesopotamiche). La base è quasi sempre una cavalcata imbastita dalla sezione ritmica, inarrestabile e ossessiva, su cui sintetizzatori, chitarre distorte e fiati si lanciano in linee melodiche, tappeti sonori e rumori sibilanti, e le voci filtrate in vario modo sussurrano parole incomprensibili, tutto volto a suggerire all'ascoltatore di trovarsi immerso nello spazio più profondo. Come prevedibile, è difficile trovare punti di riferimento nel magma sonoro, complice anche la produzione che ha caricato i suoni di echi e riverberi volti a far sembrare la musica molto distante. È come se i diffusori fossero posizionati a decine di metri dall'ascoltatore, col risultato che tutto sembra immerso in una melassa sonora che appiattisce il risultato. Non c'è dubbio che l'effetto sia voluto allo scopo di creare un'atmosfera di straniamento e stordimento e accentuare così a dismisura l'effetto "trip".
Credo che la proposta dei Chromium Hawk Machine sia pienamente giustificabile in sede live, con gli spettatori abbandonati in uno stato di trance indotto dai ritmi ripetitivi e dalle melodie sinuose. È questa la ragion d'essere dell'album, e sono convinto che ci siano parecchi ascoltatori dotati dello "spirito" giusto che possano apprezzarlo proprio per questo. "Annunaki" è in fin dei conti un viaggio musicale, ma soprattutto mentale, che non richiede attenzione ai dettagli per essere apprezzato, ma solo un'elevata capacità di abbandono. Io non ci sono riuscito, e se non avete la predisposizione adeguata consiglio di lasciar perdere anche a voi.



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Nicola Sulas

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