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CRAYON PHASE Two hundred pages Progressive Promotion Records 2019 GER

Secondo album per il gruppo tedesco dei Crayon Phase dopo il debutto datato 2012. Anche “Two hundred pages” come il precedente “Within my recollection” è un concept album di ampio respiro, superando i settantacinque minuti di durata. E’ la storia di un uomo che ogni mattina si sveglia senza ricordare cosa è avvenuto la sera prima. Questo “problema” lo rende facile preda di criminali che lo coinvolgono di continuo in attività illecite. La tenuta di un diario lo aiuterà ad uscire dalle drammatiche situazioni in cui era, suo malgrado, coinvolto. Una confezione cartonata con esaustivo booklet sanciscono, al solito, la solida professionalità della Progressive Promotion Records. Il vocalist, di origine brasiliana, Raphael Gazal è l’unica novità rispetto alla formazione di “Within…” che vede, dunque, Wolfgang Bähr alle chitarre, Arne Gröschel alla batteria, Frank Wendel alle tastiere e Peter Damm al basso.
Che musica suonano i Crayon Phase? Uno heavy prog melodico che trae ispirazione dai Dream Theater (neppure troppo…), dagli Shadow Gallery, da Ayreon, dagli Spock’s Beard e dal new prog inglese di “grana più grossa”. Brani dal deciso “punch”, tastiere sgargianti, ritmiche trascinanti, un chitarrista dal buon gusto melodico ed un cantante dall’ugola potente ma anche sufficientemente duttile da essere convincente anche nelle fasi più delicate, che non mancano.
La lunga storia alla base dell’album si dipana per oltre settantacinque minuti e nove brani. Eccezion fatta per l’iniziale “Prologue” (poco più di tre minuti) e della finale “201” (un minuto circa), le altre sette tracce si assestano tutte oltre gli otto minuti di durata nei quali la band pare muoversi a proprio agio, malgrado qualche lungaggine prevedibile.
Nel complesso un notevole impatto sonoro che dovrebbe convincere e soddisfare gli amanti del genere. La ritmica rocciosa si impone subito nella lunga title track con, inoltre, l’impazzare dei synth, una chitarra ficcante e belle melodie vocali. Pur non discostandosi per niente, come approccio almeno, molto meglio la seguente “Turn of fortune”, con una pregevole introduzione strumentale a garantire quel “quid” aggiuntivo. Brano che si apprezza anche grazie ad un uso più vario delle tastiere di Wendel e ad un refrain subito memorizzabile. L’incedere marziale, in fase introduttiva, di “Procession/Empty grave” promette, ma non mantiene, sfociando in un manierato heavy prog senza troppa fantasia. Sfilano così la ancor più dura “Paralyzed” (nonostante un paio di momenti più soft), l’insipida “The music box” (poco ispirate anche le linee melodiche) e la più variegata ed elaborata “Retrospective”. Non male proprio quest’ultima: un riuscito compendio di “moderno” new prog appetibile a più palati.
Appena le tematiche del concept lo permettono ed il gruppo toglie un poco il piede dall’acceleratore, come nella penultima traccia, “Salvation”, ecco che, sempre rimanendo nel confortevole “orticello” sonoro, la band dimostra anche di sapere agire di fioretto. Non è dimenticata la sciabola, in alcuni frangenti, e non è un caso che i migliori interventi di Bähr si registrino proprio in questo pezzo. La brevissima “201” chiude l’album in modo soffuso.
Un lavoro “muscolare”, ben inserito in un contesto heavy-new prog che sembra andare per la maggiore (nell’ambito strettamente progressive, ovviamente), con qualche spunto degno di nota, ma anche con una prevedibilità che è difficile negare. Insomma…per appassionati di queste sonorità…



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Valentino Butti

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