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ROSALIE CUNNINGHAM Rosalie Cunningham Esoteric Antenna 2019 UK

Non mi avevano particolarmente impressionato i due album dei Purson… ma sto amando decisamente questo esordio a proprio nome della polistrumentista inglese, dopo la sua decisione di porre fine all a sua esperienza nell’ambito di una sigla che si era comunque guadagnata molti apprezzamenti internazionali; un po’ singolare, visto che ad ogni modo nei Purson era proprio Rosalie a fare praticamente tutto da sola, con minimi apporti da parte di pochi altri musicisti. L’approccio sembra essere però ora cambiato rispetto a quello dei due album con la vecchia sigla: il rock psichedelico incentrato sulle chitarre dà spazio a una musica ancora orientata su sonorità acide ed atmosfere psichedeliche che riportano ai tardi anni ‘60 ma con una eleganza e raffinatezza decisamente più sviluppata, con suoni meno ruvidi ed atteggiamenti pur sempre battaglieri ma più affabili. L’apporto di Rosalie è come al solito impegnativo, occupandosi, oltre che delle parti vocali, delle chitarre, delle tastiere e delle percussioni; viene affiancata da alcuni collaboratori che la coadiuvano con le varie strumentazioni e da due violiniste, presenti però solo sulla prima canzone.
I variopinti scenari anni ’60 e flower/psych ci sorprendono già dietro l’acida chitarra che segna l’avvio di “Ride on My Bike”, seguita dalla sinuosa ed affascinante “Fuck Love”, che potrebbe essere presa da una colonna sonora di un film di 007. La beatlesiana “House of the Glass Red” ci porta dritti dritti sul marciapiede di Abbey Road, con una chitarra incredibilmente Harrisoniana, mentre su “Dethroning of the Party Queen” l’eterea voce di Rosalie compie acrobazie su una melodia a volte buffa e un po’ tronfia. Arrivati quasi a metà del percorso, quest’album ci ha già conquistati con la sua spensierata leggerezza in cui si mischiano psichedelia e west coast ma anche delicate variazioni jazzate e accenni blues, con tastiere spesso protagoniste di paesaggi sonori ampi e sinfonici.
Pendiamoci una piccola pausa con “Nobody Hears, delicata traccia dalla costruzione più lineare ed un cantato decisamente più gentile e complice, sempre con delle accattivanti tastiere di sottofondo. In “Riddles and Games” tornano per un attimo i Purson, con le loro suoni pesanti (e pulsanti) e una chitarra che si libera temporaneamente dai vincoli che le sono stati imposti. Nella breve “Butterflies” i toni tornano quieti ed intimistici… è solo una pausa in attesa dell’ultimo brano, della durata di quasi 14 minuti: “A Yarn from the Wheel”. La canzone si sviluppa attraverso varie sezioni, come una suite, che Rosalie riesce a legare con maestria e nelle quali il Prog sembra fare il suo spettacolare ingresso in scena (non che non si fosse fatto vedere nelle tracce precedenti, comunque), sempre rimanendo in ambiti che richiamano i tardi anni ’60, con gli ultimi Beatles, i Curved Air o i Jefferson Airplane come riferimenti ben presenti.
Gli alti e bassi emotivi, le accelerazioni che si susseguono a fasi più gentili e lo splendido dipanarsi di quest’ultima traccia sanciscono la fine di un album intenso, affascinante e dalle attrattive sicuramente importanti per molti tipi di ascoltatori. Bello bello bello...



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Alberto Nucci

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