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CRAYOLA LECTERN Happy endings Onomatopoeia Records 2018 UK

Il ritorno di Chris Anderson, alias “Crayola Lectern”, dopo l’ottimo esordio “The Fall And Rise Of...” del 2013, era molto atteso da chi aveva apprezzato il suo stile eccentrico e malinconico intriso di sognante pop psichedelico e spontaneo lirismo.
Ebbene, in “Happy Endings” non solo tali aspettative vengono ampiamente riconfermate ma in esso Chris riesce a perfezionare il mondo in cui proiettare il suo alter ego, definendone e modellandone ulteriormente scenari e contorni.
Per la realizzazione di questo nuovo lavoro, che consta di dieci brani per una durata di 45 minuti circa, Chris (voce, piano, sax, oboe, tastiere e chitarra) si affida come nell’album precedente all’aiuto di Jon Poole alle tastiere, di Alistair Strachan alla cornetta e alle percussioni, di Bic Hayes alla chitarra, e di Bob Leith alla batteria ad esclusione della prima traccia in cui troviamo Damo Waters. I più attenti avranno sicuramente notato la presenza in formazione di diversi membri di una ben nota band britannica, ciononostante, volutamente non citerò riferimenti espliciti a quella o ad altre band e/o artisti nel proseguo di questa recensione, lasciando come gioco questo esercizio a voi che leggete.
“Happy Endings” è un album sulla vita e la morte, sulla gioia e la sofferenza, sul coraggio e la paura, sulla verità e l’inganno, temi onnipresenti da cui non possono che nascere continue oscillazioni umorali, a volte anche all’interno di uno stesso brano. Ciò è fin da subito evidente nella prima traccia “Rescue Mission” che inizia con un tema frizzante le cui parole sono colme di sentimento d’amore e coraggio ma dove l’atmosfera deve ben presto adeguarsi alla verità secondo la quale non può esserci una missione di salvataggio se ognuno pensa solo a se stesso. Ecco allora che il tema, la voce, nonché le note del pianoforte e della cornetta lentamente si intristiscono, diventando tutti insieme assoluti protagonisti malinconici della variazione della melodia in tristezza. Con “Submarine” tale sentimento non ci abbandona: pianoforte ed effetti vari ci avvolgono in una bolla sonora come fossimo immersi nel buio e nella solitudine degli abissi del mare. “O triste marinaio che hai creduto alla bugia (della guerra), non piangere”, recita parte del testo della canzone. Parole di conforto verso chi sta morendo nella profondità dell’ oceano per una causa venduta come giusta, ma che è da sempre difficilmente giustificabile.
L’album prosegue con “Lingeron”, forse il pezzo più surreale, in cui il tema della morte prende forma attraverso una riflessione che sembra svilupparsi come in uno strano sogno. Il corrispettivo sviluppo musicale spazia qui tra cori, evoluzioni pianistiche e cantato malinconico, in cui la base ritmica pian piano diventa più dinamica. Ciò fa da supporto a successivi e rigorosi riff chitarristici e ad un sempre più martellante pianoforte, fino a quando all’improvviso tutto si interrompe, lasciando che a fluttuare nell’aria siano solo i dolci e ripetitivi arpeggi del pianoforte. L’altalena di sentimenti ed emozioni prosegue con “Barbara's Persecution Complex”, brano interamente strumentale, se escludiamo le poche parole cantate nel finale: “Barbara, don't be a stranger, so lonely”. Nell’arco dei suoi quasi 5 minuti, l’incedere spensierato e ritmicamente sincopato dalle note di pianoforte e dalle percussioni viene gradualmente assimilato dall’ingresso dei fiati, da effetti tastieristici e dal tema nervoso della chitarra, rendendo improvvisamente minacciosa e folle l’ambientazione. Raggiunto il picco della tensione, avviene l’ennesima mutazione umorale. Complici le delicate note di pianoforte, ma soprattutto il nostalgico tema della cornetta, la spensieratezza si trasforma lentamente in profonda amarezza e solitudine. Lo scenario e le sensazioni si modificano nuovamente con “Giant Moon Up In The Sky”, un brevissimo brano folkeggiante introdotto da arpeggi di chitarra combinati al bellissimo suono di uno Harmonium, che con cantato angelico parla dell’illusione di Ponzo in cui la luna diventa gigante e luogo dove tutti possono incontrarsi. Questa immagine rassicurante e poetica funge da preambolo a “Lux” che, a partire dalla delicatezza iniziale del pianoforte, si sviluppa in un crescendo sinfonico in cui viene ripetuto più volte “io sono vivo” e che nel finale si dissolve tra note magiche e sognanti del pianoforte quasi come in segno di rispetto alla vita. Con la struggente “(Don't) Let Go”, torna forte il tema della morte già affrontato in “Lineron”. Questa volta però non sembra affatto un sogno, cosicché tutto suona maledettamente triste e reale. Quando successivamente veniamo catturati dal surrealismo di “Secrets”, l’album ormai si sta avviando verso la conclusione. La voce vigorosa ed enfatica di Crayola Lectern ci narra di segreti acquisiti parlando con i defunti, ma poi si affievolisce e diventa riflessiva fino a sparire tra atmosfere eteree ed oniriche dipinte dalle tastiere, dall’oboe, e dall’onnipresente pianoforte.
“(No More) Happy Endings” è l’unico brano il cui testo non è firmato da Chris, bensì da sua moglie Sadie Anderson. Si tratta di una canzone molto melodica che, a partire dal pianoforte combinato al dolce cantato, si arricchisce lentamente con l’ingresso degli altri strumenti proiettandoci in una dimensione celestiale e rilassata. In essa, viene mantenuto vivo il ricordo di una persona cara, nonché il suo desiderio di essere portato via da un luogo che non lo ha mai amato e rispettato. A porre la parola fine a questa intensa carrellata di situazioni ed emozioni, ci pensa la brevissima “Finale”, caratterizzata da una ritmica marcata in stile marcia, e da un semplice tema ripetuto su cui si sovrappongono uno dopo l’altro diversi strumenti.
“Happy Endings” è un lavoro molto intimo e personale. I brani sembrano quasi tutti concepiti a partire dal pianoforte, con particolare attenzione alla forma canzone e ai testi. Le tematiche affrontate sono di forte impatto emotivo e hanno spesso una matrice legata a fatti ed esperienze reali. Curando meticolosamente gli arrangiamenti, Chris riesce abilmente a generare nella mente dell’ascoltatore immagini colori e sensazioni, che talvolta superano la dimensione del reale, senza però mai spezzare del tutto gli effettivi legami con la realtà. Ciò rende le sue canzoni sfuggevoli e cangianti, ma anche intriganti e malinconicamente belle. Un po’ come osservare le sfumature di colore delle nuvole prima durante e dopo il passaggio di un temporale. Consigliatissimo.



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David Aldo Masciavè

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