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CONDOR GRUPPE Gulliver Sdban Ultra 2022 BEL

Da dove potrebbe venire il Condor Gruppe? Dalla musica, impregnata dei più diversi riferimenti etnici, avrei potuto pensare a svariate parti del globo ma Anversa non sarebbe stata sicuramente la mia prima scelta. Questa band fiamminga circola già da un pezzo e l’esordio, “Latituds Del Cavall”, risale al 2014. Da allora, prima di giungere a questo “Gulliver”, sono usciti altri due dischi, “FROG BOG - A Tribute to Moondog” (2016), una reinterpretazione di alcuni pezzi del musicista americano Louis Thomas Hardin, meglio conosciuto appunto come Moondog, e “Interplanetary Travels” del 2018.
Allo stato attuale i nostri Condor sono in nove e si dividono fra chitarra, basso, batteria, tastiere, sax, tromba, hang e sitar. Un certo dichiarato amore per gli “spaghetti western” si percepisce molto bene, anche se vengono miscelati talvolta ingredienti un po’ insoliti per brani che non sfigurerebbero affatto come colonna sonora di certe pellicole. Prendiamo ad esempio “Inside Out”: il brano ci offre scenari piuttosto tipici, che potrebbero fare da sfondo, per esempio, ad un duello all’ultimo sangue, in cui vengono però riversate reminescenze raga ed etniche, con tanto di percussioni tradizionali e sitar, per un risultato finale tutto sommato convincente e particolarissimo. Oppure ascoltiamo “Echo of Things”, con quelle melodie disegnate dalla tromba che tanto ricordano Morricone, o anche “Farid”, che racchiude tutte le fragranze del deserto assieme a suggestioni etniche di varia provenienza tinte di psichedelia e movimentate da sinuose inflessioni soft jazz. Uno stile sonoro che ci appare in generale riconoscibile e congeniale viene così declinato sfruttando le più svariate contaminazioni in modo coerente e fluido.
Talvolta la formula è arricchita da elementi Kraut ed elettronici con reminiscenze che ci spingono ad esempio verso Vangelis, come può sembrare dall’ascolto della traccia di apertura, la soft e distesa “What Could Have Been”. L’impressione finale è quella di una colonna sonora retrò un po’ bizzarra, che scorre senza intoppi generando gradevoli suggestioni, in cui la dinamica strumentale non si infittisce mai ma viene messa al servizio di un immaginario film. “Galata” possiede invece un fascino più marcatamente mediorientale con le sue geometrie regolari e le melodie piacevolmente ripetitive che in parte sembrano trascinarci verso la Turchia. Ogni pezzo ha insomma una sua anima e nessuno in particolare predomina sull’altro dando l’idea di un’opera piuttosto compatta ed omogenea nonostante l’accozzaglia di idee che la compongono.
Non gridiamo al miracolo, ci mancherebbe altro, ma il principio di base è interessante e ben imbastito, anche se una maggiore audacia negli arrangiamenti avrebbe potuto secondo me fare la sua bella differenza. In ogni caso un ascolto gradevole e non proprio ordinario è il premio che riceverete se vi concederete un po’ di questa musica.



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Jessica Attene

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