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CARAVAGGIO Caravaggio ICM Records 2022 ITA

C’erano una volta gli Adramelch, band nostrana di heavy metal melodico, autrice di quattro album (più la ristampa del primo lavoro in deluxe edition), molto apprezzata dagli amanti del genere e che al momento di pubblicare l’ultimo “Opus” nel 2015 si era già praticamente sciolta. Il cantante Vittorio Ballerio ed il chitarrista Fabio Troiani hanno portato avanti un nuovo progetto, cominciando ad incidere le prime registrazioni già nel 2018. La loro vecchia band era stata in parte accostata al filone progressivo (come è accaduto a tante band metal appena un po’ più complesse. Persino con gli Stratovarius!), non entrandoci ovviamente nulla. Con questo nuovo sforzo compositivo, invece, la vena artistica ingloba volontariamente tanti elementi differenti, sia dal punto di vista stilistico che da quello delle scelte riguardanti la strumentazione. Accanto a loro, il bassista Marco Melloni (visto con Pino Scotto, storico cantante dei Vanadium) ed il batterista Alessio Del Ben (Wotan e soprattutto Quel Che Disse Il Tuono, adesso alla testa dei suoi Bleak Light).
Già con l’iniziale “Before my eyes” la precedente attitudine (dagli Adramelch comunque non si scappa viene fusa con suggestioni ispaniche; particolarmente riuscite le strofe in cui chitarra acustica e percussioni accompagnano la voce acuta, che si esprime con tonalità epiche. Un po’ più scontato il ritornello, a dire il vero. Comunque, le succitate percussioni di Alex Sandro La Bua ad un certo punto accompagnano la fisarmonica di Nadio Marenco, per un intermezzo che si sarebbe dovuto sviluppare maggiormente. Proprio la fisarmonica risulta essere lo strumento “anomalo” a cui i nostri guardano come riferimento, per donare quel tocco di originalità a stilemi che nel panorama italico si erano già sentiti nei decenni passati; ne è un esempio lampante “Joyful graveyard”, ballata prog-metal malinconica che ricorda le band tricolori degli anni ’90 (soprattutto gli Athena del primo album), impreziosita dal cantato limpido, affilato e sentito, accompagnato a sua volta dalle solite percussioni di La Bua e dalla fisarmonica di Mauro Paeda, ben inserita nei controtempi, soprattutto quando viene doppiata dalla chitarra. A tal proposito, risulta parecchio interessante l’assolo di Troiani, per nulla banale ed invece assai complesso, quasi in stile Fates Warning (volendo invece guardare agli USA). Una malinconica chitarra acustica apre “Guernica”, dedicata al milanese Alfredo Terragni, antifascista impegnato attivamente nei conflitti in terra di Spagna e Francia. A proposito di ciò, i sentori ispanici rimangono elementi evocativi molto sfruttati dalla band, soprattutto in questo brano, con tanto di nacchere in un’atmosfera brumosa, accompagnata nei momenti più intensi dalla fisarmonica di Carmine Turilli (che dona qualcosa anche della ballata francese). Oltre alle linee di basso molto presenti, da sottolineare gli inserimenti dei vocalizzi ad opera di Simona Aileen, che con le loro note acute sembrano quasi delle sortite di violino.
“Unlike Dolphines” è da citare perché – nonostante riprenda come in altri pezzi gli stilemi del prog-metal tricolore (all’epoca chiamato anche metal-prog) –, inserisce comunque delle variazioni improvvise quando l’ascoltatore meno se le aspetta, cantando di umanità che ha perso la propria guida ed interrogandosi su concetti ambigui come progresso o collasso. “Pompeii” (cioè la Pompei antica) è un breve intermezzo aperto dal canto delle cicale ed in cui partecipa nuovamente con dei vocalizzi la Aileen (certo, le nacchere saranno pure ad effetto, ma visto il contesto sembrano fuori luogo…), che lascia subito il passo a “Comfortable”, con cui si pone in evidenza il testo estrapolato da “Vuoto d’amore” di Alda Merini, qui recitato da Erika Carretta; liriche seguite a ruota dal brillante assolo di chitarra, che esalta il grande desiderio di spazio, chiudendo poi con le medesime soluzioni del preludio precedente. “Fix You” è una cover dei Cold Play, che ha come ospite Courtney Swan, cantante dei Bent Knee, anch’essa impiegata per dar colore con i suoi vocalizzi; una versione dagli arrangiamenti molto più arricchiti ed elaborati, che al contrario dell’originale non lascia certo la sensazione di ascoltare qualcosa d’incompiuto. La conclusione è lasciata a “Life watching”, una semi-ballad di natura hard-prog, ben strutturata e con un tanto esotico quanto evocativo assolo sulle sei corde, chiusa poi dal flauto di Antonio Zambrini in dissolvenza, che rende tutto ancora più “immaginifico”.
Sicuramente un passo in avanti per gli ex Adramelch, che farà la gioia dei vecchi fans, i quali – nel frattempo – saranno cresciuti anch’essi, probabilmente ben lieti di ascoltare un’evoluzione della matrice originale. La produzione risulta fin dall’inizio meglio definita ed attenta rispetto al passato, merito soprattutto di Guido Block, musicista tedesco che aveva già prodotto il canto del cigno della band dalle cui ceneri sono poi nati i Caravaggio; quest’ultimi hanno scelto decisamente un nome impegnativo per tratteggiare le tinte del loro nuovo corso. Peraltro, il lavoro certosino di ricerca non si è certo fermato al lato strettamente musicale; la copertina è stata affidata al pittore Gianfranco Ferlazzo, il quale ha impreziosito ogni brano all’interno del libretto con un disegno via via differente (dieci, in totale), donando così una connotazione anche visiva che ben si armonizza con le canzoni stesse. Inoltre, i testi sono stati passati al vaglio dalla londinese Tracy Bell, che essendo madrelingua inglese ha così ottimizzato le lyrics (e forse anche la pronuncia). Non è certo scontato che gli ascoltatori di prog-rock tout court apprezzino questo tipo di proposta, però servirà senz’altro a farne avvicinare dei nuovi. I rimandi all’epoca italiana dei
nineties appare evidente, ma per una volta ciò risulta come un marchio di fabbrica che rimanda ad una scena musicale geograficamente ben precisa e non deve essere intesa per forza come pecca. In questo lavoro ci sono dei momenti riempitivi ed è lecito aspettarsi di più fin dalla prossima uscita, ma gli elementi positivi sono decisamente maggiori. Per (ri)cominciare, davvero niente male.



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Michele Merenda

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