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D'ARCANA As worlds they rise & fall Lemuria Music 2005 USA

Il trio californiano, capitanato dal multistrumentista e cantante Jay Tausig e completato da Shelby Snow al basso e James Camblin alla chitarra, dà un seguito al buon debutto dell'anno prima. Si tratta ancora una volta di una proposta musicale semplice e spontanea ma sicuramente sincera e appassionata che non ha pressoché nulla a che vedere con il materiale sicuramente più sofisticato degli E-motive, il vecchio gruppo di Jay. Il sound, ruvido ed approssimativo, sembra provenire da delle lost tapes degli anni '70 ed i contorni sonori sono mal definiti ed impastati. Alla ricerca della perfezione e delle iperproduzioni che piacciono molto ai gruppi di oggi, Tausig risponde con il semplice confronto diretto con gli strumenti ed i microfoni del suo studio di registrazione raccolgono, come presenze indiscrete, senza troppi filtri o accorgimenti tecnici quello che sembra essere il frutto di una suonata fra amici, tutt'altro che studiata a tavolino. In particolare i microfoni sembrano posizionati secondo un approccio ambient, da qualche parte nella sala, con un effetto finale caldo e vintage. Abbiamo quindi canzoni istintive, che poggiano il loro peso in gran parte sulle chitarre acustiche e sulla particolare voce di Tausig. L'impasto sonoro è arricchito da tastiere analogiche dai suoni carichi, più che altro di sottofondo e da seducenti sfumature psichedeliche e folk. A momenti più energici, con impennate elettriche, se ne alternano altri più sinfonici e delicati, come in una sorta di album proto-Yes suonato con spirito west coast e qualche richiamo ai Led Zeppelin. Il risultato è una collezione di 12 brevi tracce, eclettiche ed istintive, dal mood oscuro e dall'impatto coinvolgente. Una di queste è una cover di Brian Eno, "By This River" e un'altra, "Wrong Number", è costruita su una poesia ("For Al") del maledetto Charles Bukowski. Ma non è tutto, una tredicesima traccia, che copre più di un terzo della durata totale dell'album, è occupata da una suite di ben 23 muniti, la title track. Anche in questo caso l'approccio è molto diretto e non ha nulla a che fare con le architetture complesse delle grandi suite prog. In sostanza vengono confermate le sensazioni positive ricavate dall'ascolto del primo album, seppure in questo caso abbiamo un'opera decisamente meno curata sul profilo formale. Ma questo non è necessariamente un male dopotutto, in finale abbiamo un disco sincero, godibile, senza troppe cerimonie o pretese e non è poco.

 

Jessica Attene

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