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THE DIVINE BAZE ORCHESTRA |
Once we were born |
Transubstans |
2007 |
SVE |
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La svedese Transubtans record sembra ormai specializzata nella produzione di gruppi fortemente legati all’hardprog anni 70 con venature psichedeliche.
Dopo Graveyard e Abramis Brama, è la volta di questi "Divine Baze Orchestra" da Göteborg a deliziarci le orecchie con sonorità che sembrano uscite da un disco degli Atomic Rooster o degli Uriah Heep ma che riescono in ogni caso a mantenere un minimo di originalità.
Gli svedesi nascono nel 2003 per opera del chitarrista Oliver Aek e del batterista Christian Eklöf e il loro amore per l’hard rock è grande, amore che viene convogliato in qualcosa di più potente e caratteristico con l’avvento del tastierista Daniel Karlsson, che porta con il suo organo l’elemento che diversifica questo gruppo da tanti altri e che lo rende degno di nota.
E’ difficile per chi ama certi suoni non restare colpiti da quell’organo Hammond così grezzo e tagliente o da quella chitarra che non ha bisogno di orpelli o aggeggi elettronici ma solo di un cavo diretto ad un Marshall.
Difficile trovare un punto debole nei brani che spaziano dall’hard rock al blues più psichedelico.
Un disco dai suoni sporchi, basato su riff di organo e chitarra micidiali. E anche la voce molto particolare di Alexander Frisborg rende il tutto ancora più accattivante.
Il disco è stato registrato in meno di una settimana quasi dal vivo e questa freschezza si sente. Postproduzione a livello zero (solo i cori e qualche passaggio di mellotron sono stato inseriti in un secondo momento) ed energia che sprizza fuori da ogni poro.
Tutto questo ritorno al passato, questo suono vintage (a volte forzatamente vintage), paradossalmente risulta più fresco, meno costruito di tante altre realtà più pompate. Il suono viscerale, che proviene da questi solchi, ti riconcilia con la musica, e ci ricorda che anche mettere quattro accordi in croce non è semplice se non lo fai nella maniera giusta. E se poi ai quattro accordi in croce si riesce ad inserire fantasia, voglia di creare qualcosa di diverso, voglia di improvvisazione il gioco è praticamente fatto.
Difficile non perdersi (anche per chi non è appassionato di determinate sonorità) nelle note di “orange and turqoise”, pezzo che sembra uscito da un album degli Steppenwolf.
Difficile non mettere in loop per 3 o 4 volte di seguito “The man from my mother’s brother” per andarsi a risentire quello stacchetto di mellotron che sa tanto di Beatles.Difficile non pensare ai Black Sabbath in un pezzo come "Choose your green", come non puoi non pensare agli Atomic Rooster in “Trota di mare”. Difficile non farsi prendere dal groove che caratterizza “Little Man”.
Forzatamente possiamo trovarci anche riferimenti moderni in questo gruppo, penso ai primi Anekdoten ma anche ad Echolyn se non altro per il modo di cantare di Frisborg che mi ricorda molto quello di Buzby (sentire un brano come In Search per avere la conferma).
Di questi tempi se si guarda alla Svezia e all’organo Hammond il riferimento ai Black Bonzo è praticamente scontato, ma i due gruppi hanno ben poco da spartire. Più puliti (anche eccessivamente per i miei gusti) e precisi i Black Bonzo, più grezzi e viscerali i The Divine Baze Orchestra, per uscire dal dilemma meglio conoscerli tutte e due che ne vale la pena.
Sicuramente un album molto divertente, dove non bisogna perdere tempo per comprenderlo e per entrare dentro il songwriting. Ogni tanto fa piacere ascoltare anche dischi fatti in questo modo soprattutto se sono fatti bene come questo.
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Antonio Piacentini
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