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DEAD HEROES CLUB A time of shadow autoprod. 2009 UK

Iniziando questa recensione con la solita nota geo-politica, bisogna notare come tutti quanti additino questo gruppo come Irlandese… e il gruppo stesso nel suo sito si periti di sottolineare di essere l’unico gruppo Prog irlandese in attività. Beh… spiace fare i pignoli ma se i Dead Heroes Club hanno come base la città di Derry (o meglio… Londonderry), saranno pure irlandesi, ma si trovano ad essere sudditi di S.M. la Regina d’Inghilterra e quindi facenti parte del Regno Unito. Oltre tutto al momento attuale esistono anche i Parhelia, loro sì Irlandesi DOC, già presentati su queste pagine, che non saranno il massimo del Prog, ma tant’è…
Espletata questa formalità, passiamo a parlare della musica. Questo che presentiamo è il secondo album della band, facendo seguito al lavoro d’esordio omonimo, pubblicato nel 2004. Le 6 tracce dell’album sono prevalentemente up-tempo, molto movimentate pur non essendo esattamente definibili hard, con sonorità in bilico tra modernismo e un occhio al passato. Sebbene il gruppo, come già detto, non nasconda minimamente il proprio essere Prog, tuttavia non troviamo clonazioni di sorta in questo loro disco; un pizzico di Genesis (a cavallo tra il periodo Gabriel ed il successivo), un tocco di Yes, un sentore di Jethro Tull, sprazzi di new Prog… ma in sostanza niente di definito e chiaramente identificabile. In realtà ci troviamo di fronte a un Prog con sonorità ed approccio piuttosto moderno, che nonostante i presupposti non fa di tutto per essere Prog e che non è comunque ignaro di quanto è successo nel mondo (musicale, ovviamente) negli ultimi anni. Aggiungiamoci anche una discreta professionalità, discrete capacità compositive, un cantato molto efficace, e possiamo capire il perché, al momento in cui scrivo, sia attesa una ristampa di quest’album da parte di un’etichetta importante dell’ambiente.
Devo ammettere tuttavia che l’album non riesce proprio a prendermi più di tanto, nonostante tutte queste doti positive: il cantato innanzi tutto è sì molto espressivo ed efficace, ma onnipresente e messo un po’ troppo in primo piano, tanto da sovrastare costantemente gli strumenti, tanto che si potrebbe quasi pensare ad un album solista di Liam Campbell (il cantante, appunto, nonché titolare di una delle due chitarre). E’ un peccato perché l’impasto sonoro che si percepisce è anche piuttosto interessante a tratti e dà una piacevole sensazione di pienezza di suono. C’è anche da dire che talvolta il gruppo sembra essere un po’ troppo attirato dalla tentazione del riff accattivante, sia melodico o più aggressivo. Il meglio dell’album mi sembra che sia collocato in testa e in coda, coi 9 minuti di “Theatre of the Absurd” e i 15 della title-track; il primo brano mi ha fatto quasi pensare all’inizio a dei cloni degli Spock’s Beard, ma è un’impressione che sfuma ben presto per dar spazio a una canzone in bilico tra un buon pop melodico e flash più tipicamente Prog, con delle ottime tastiere come raramente ne sentiremo nel prosieguo. La seconda è una composizione più complessa e frastagliata (ma il senso logico del brano non viene mai perso) con belle atmosfere e un finale strumentale trascinante.
“A Time of Shadow” è un buon album, in definitiva; non troppo sbilanciato da nessuna parte, un po’ ruffiano quanto basta, e ben suonato. Non riesce a prendermi più di tanto, come ho detto… ma questo probabilmente dipende da me…



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Alberto Nucci

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