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DORACOR Passioni postmoderne di un musicista errante AMS Records 2016 ITA

Gli 8 album precedenti pubblicati a nome Doracor, pur ovviamente diversi l’uno dall’altro, ci avevano abituati ad uno stile piuttosto uniforme, più o meno riconoscibile, che alternava e mescolava sonorità sinfoniche bombastiche, dominate ovviamente dalle tastiere di Corrado Sardella, a pezzi più vicini al pop di classe, con l’ottimo cantato di Milton Damia che, ormai da tempo, dà voce alle creazioni musicali del “Keith Emerson del Trullo”, come viene affettuosamente chiamato. Questo nuovo lavoro, fin dal titolo, promette di essere qualcosa di diverso da quanto eravamo abituati ad ascoltare con Doracor. Il fatto che l’album si estenda su due CD contribuisce ulteriormente a renderlo particolare, nell’ambito della ormai nutrita discografia di questo progetto che ormai ha festeggiato il suo ventennale. Lo stile Doracoriano è ancora riconoscibile in molte delle composizioni qui incluse e viene ripetuta la formula che vede Sardella, nel ruolo di mastermind, attorniarsi di una pletora di ospiti e collaboratori (Red Canzian, Andrea Pavoni, Kostas Milonas dei Sunburst, Roberto Tiranti dei Labyrinth, Alessandro Corvaglia e molti altri) che, traccia dopo traccia, si alternano attorno a lui. Il dipanarsi dei due CD e dell’album nella sua interezza è tutt’altro che lineare e consequenziale, tuttavia; le 18 composizioni presenti, 9 per ogni dischetto, hanno durate e caratteristiche anche abbastanza diverse l’una dall’altra, concedendo molte pause riflessive e solo sporadicamente facendo ergere la musica sopra le righe, come degli iceberg isolati e galleggianti in un tranquillo oceano, ma senza intoppi, tanto che i passaggi tra una situazione e l’altra risultano molto naturali e quasi consequenziali. Viene da pensare al dipanarsi di una storia, in effetti, con le sue varie situazioni e narrazioni.
“Passioni postmoderne di un musicista errante” parte dunque in punta di piedi, con una prima traccia (“L’Opificio delle Memorie”) largamente fatta di rumori e sussurri, tra cui riconosciamo la classica comptine francese “Au clair de la Lune”. La traccia esplode infine per qualche secondo, guidata dal basso fretless di Red Canzian, per poi tornare nel suo limbo di sussurri. La successiva “Aphasia” è ottimamente cantata (in inglese) da Corvaglia ed è un brano Prog sinfonico con tutti i crismi, dalle frenetiche ritmiche e i toni bombastici ma grondante di melodia, come è tipico nei lavori di Doracor che conosciamo (ma mi vengono anche in mente gli australiani Aragon). “Ergos” è uno strumentale dalle sonorità più morbide, almeno nella prima parte, per poi procedere con ritmiche più spezzate, e un buon assolo di chitarra, sul finale (in effetti questa traccia, come altre nell’album, è divisa in movimenti), sfociando in “Riduzione Oggettiva Orchestrata”, anch’essa strumentale e suddivisa in diverse parti in cui esplosioni strumentali corali si alternano a momenti quasi intimistici e di basso profilo. Un sax ammiccante fa virare decisamente il mood verso situazioni più orecchiabili e fusion.
Nella successiva “Il Canto delle Onde” arriva finalmente il cantato di Damia, voce protagonista di ogni album di Doracor e un po’ limitato in questo ultimo lavoro, e torniamo quindi ad ascoltare un brano up-tempo, dinamico e melodico, energico ma anche delicato, dal vago sapore di opera rock (la voce di Milton, potente, impostata ed espressiva, contribuisce molto a quest’impressione). Un nuovo strumentale (“La Terra tra le Nuvole”) rallenta di nuovo i ritmi e si mantiene su sonorità delicate, con tocchi di piano in punta di dita e belle melodie tenui.
“Premessa #3” è un breve duetto classicheggiante tra tastieristi che vede affiancati Sardella e Andrea Pavoni, introduzione a “N.M.W.”, contraddistinta questa dal basso del virtuoso Michel Labaki, che poi si conclude in “Alba di Luna”, brano conclusivo del primo CD, dai connotati notturni e romantici, col ritorno del sax, stavolta affiancato dalle sole tastiere.
Il secondo dischetto inizia con “Sintropia”, un brano strumentale dall’avvio energico, quasi Prog Metal, con duetti chitarra/tastiere nel movimento iniziale, salvo arrestarsi nell’ultima parte e lasciar spazio a un delicato flauto che ci guida verso “Il Ponte dell’Arcobaleno”, breve brano per sole tastiere ed effetti bucolici.
In “Se Manchi Tu” torna la voce di Corvaglia che, per la durata del brano, dai toni pop romantici e melodici, ripete continuamente le tre parole del titolo. “Premessa #2” ci porta ad un altro breve duetto Sardella/Pavoni, questa volta dai toni più tronfi, che a sua volta ci guida in “Theosis”, brano cantato da Roberto Tiranti, in cui il Prog torna a farsi decisamente sentire, ricordandomi un po’ i primi Spock’s Beard o addirittura le Ars Nova.
“Arrivo” e “Premessa #1” sono altri duetti di tastiere, entrambi brevi e dalle atmosfere ampie e dilatate, inframmezzati da “Au Revoir”, brano strumentale ritmato e poppeggiante, con melodia di sax ripetute e ricorrenti.
Siamo quasi al termine anche di questo secondo CD… non prima però del gran finale rappresentato da “Un Nuovo Sole”, brano di 14 minuti in cui torna la voce di Milton Damia, dopo una prima metà di brano interamente strumentale, e che rappresenta in un certo senso la summa dell’intero album, con situazioni più pop che lasciano il posto a momenti più tipicamente Prog o addirittura ad escursioni jazzate.
L’album termina con una voce narrante che ci mette in guardia sulle conseguenze delle nostre scelte quotidiane. Purtroppo sia i testi che il libretto sono piuttosto avari di appigli per individuare la storia che (intuitivamente) ha ispirato quest’album; non ci resta quindi che accettarlo ed ascoltarlo così com’è, sicuramente molto discontinuo e frastagliato, in bilico tra buon pop e situazioni più sbilanciate sul Prog, come peraltro d’abitudine per gli album di Doracor, ricco di sonorità comunque raffinate e belle armonie. Di certo l’ascolto di questo “Passioni Postmoderne…” richiede un impegno maggiore dei lavori passati, sia ovviamente in termini di tempo che anche dal punto di vista dell’attenzione di ascolto. A conti fatti, se non ci si fa travolgere dal mutare degli eventi, si tratta di un buon album che va preso nel suo complesso e nel suo lungo dipanarsi.



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Alberto Nucci

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