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DATADYR Woolgathering Is it Jazz? 2022 NOR

Nuova formazione norvegese, i Datadyr sono qui per farci capire che anche oggi si può fare musica per divertimento, senza troppe velleità commerciali. E la prima cosa che mi viene in mente dopo diversi ascolti di questo lavoro è che se vuoi fare qualcosa di nuovo, devi per forza misurarti con il vecchio.
Nei giorni nostri parlare di trio jazz e poi guardare l’etichetta della band “Is it jazz?”, fa sembrare che tutto voglia partire con il piede sbagliato. E invece? Invece no, ci siamo in pieno e quel che esce da questi solchi è un disco intriso nel jazz tradizionale, secondo quei canoni anni ’50, ma anche free jazz, improvvisazione, un po’ di blues, un po’ di Canterbury di quello più che si avvicina ai bordi, di quello che arriva in prossimità dei propri estremi.
La chitarra di Odd Erlend Mikkelsen domina su tutto, ma d’altronde è che oltre a lui c’è solo una poderosa e precisa macchina ritmica. Vero che in un paio di brani ci sono ampie parti di sassofono, ma è più un duettare che reggere la scena autonomamente.
Per un paragone, ci fosse proprio la necessità di farlo, ho, pensato ad un disco preciso, un disco della mia crescita musicale. Un disco talvolta furibondo e incontrollato come Morning Glory di John Surman, con le dovute distanze, tenuto conto che raggruppare il manipolo di geni sopraffini che vi hanno partecipato è cosa rara. Ma qualcosa c’è, non solo per la presenza, in quel disco, di un norvegese come lo sono i Datadyr, il fenomenale Terje Rypdal, ma perché mi obbliga a pensare che anche per loro, quello, sia un disco della crescita, un punto fermo e fondamentale. Come è punto fermo e fondamentale dell’incontro tra jazz improvvisato e Canterbury, cioè di quel che si sta trattando.
Addentrandoci nei brani, registrati per la maggior parte in presa diretta, con pochissime correzioni o sovra incisioni, facendone quasi dei live in studio, troviamo una buona varietà tematica. Dall’approccio più easy e spontaneo di “Tier”, l’opening track, alla più sperimentale e freeform title track “Woolgathering”, passando per il jazz intricato e pieno di rovesciamenti di “Krystalldans” o l’altalenante “FastUp”, tradizionale fino al midollo.
Ancora un doveroso cenno per la traccia più lunga, pur essendo solo poco più di sei minuti e mezzo, dove l’intreccio sax – chitarra è davvero ben riuscito, parliamo del brano che prende il nome dalla band, “Datadyr”.
Un lavoro riassumibile in jazz progressivo, come si faceva un tempo, senza abissi di sperimentazione, ma anche senza ruffianerie. Un disco difficile e piacevole, da avere per le serate piovose, che speriamo arrivino.



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Roberto Vanali

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