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EFECTO Efecto autoprod. 2006 (Mylodon 2008) CHI

Come sempre più spesso accade di questi tempi, per trovare un disco di prog sinfonico piacevole ma anche pieno di personalità, bisogna guardare verso l’America latina. Si chiamano Efecto, fanno un prog sinfonico elegante, con venature fusion e ricchi ricami di vibrafono che darebbe sollievo ad un panorama che in Europa è divenuto col tempo sempre più asfittico e stagnante, ma il loro nome è praticamente sconosciuto e la distribuzione del loro esordio è limitata. Questo disco è in realtà una autoproduzione del 2006, ristampata due anni più tardi dalla Mylodon, che scopro per caso solo ora per il fatto che è stata nuovamente inserita nel catalogo di vendita di questa etichetta. A quanto pare nessuno da questa parte dell’Oceano ne ha mai parlato e questo mi sembra quasi come togliere l’acqua agli assetati, visto che gli appassionati di musica progressiva hanno sicuramente bisogno di produzioni del genere. Della loro musica colpisce sicuramente ad un primo impatto la profonda vena melodica che però non si impaluda mai in soluzioni che siano troppo debitrici e reminescenti della classica scena britannica. Si tratta di un sound decisamente tastieristico in cui si mescolano delicate fragranze fusion ed aperture classiche. Sono molto intriganti gli interventi del vibrafono di Rodrigo Mora che serpeggiano qua e là, solleticanti, per tutta la durata dell’album. Una traccia molto bella, sotto questo punto di vista, è la centrale “Humancé”, scandita da un basso vivace (suonato da Álvaro Encina Quezada), con deliziosi sentori Yes che si aprono verso intuizioni fusion. Nella parte conclusiva viene collocato un lungo assolo di chitarra che si muove su una base movimentata dalla piacevole percussività delle congas. La voce solista, che è quella del bassista, è profonda e cantautoriale. Non si tratta di un’ugola raffinata ma la sua timbrica si adatta perfettamente al taglio rock di questa musica, articolata e particolareggiata, ma comunque nervosa e diretta. E’ molto bella la commistione fra i suoni tastieristici potenti, che sembrano collocarsi temporalmente al tramonto degli anni Settanta, e le calde sonorità latine, che si fanno sentire soprattutto nelle scelte ritmiche o più raramente attraverso l’inserimento della chitarra acustica, come nella graziosa “Universo”. Si tratta di un album profondamente sinfonico, come abbiamo detto, ma non mancano occasioni in cui la bilancia pende in maniera più forte verso il settore del jazz o verso quello della musica contemporanea, raggiungendo a volte apici avanguardistici, come in “Dekeize”, un magma incandescente in cui ribollono diversi stili musicali che vanno dal free jazz al RIO, oppure in tessiture particolarmente ricercate ed elaborate, ma non particolarmente estreme, come in “La venida de Mescalito”, basata sui versi di Carlos Castaneda. Non sfuggirà sicuramente alle orecchie attente dei nostri lettori la realizzazione un po’ artigianale di questo disco che comunque è segno di una freschezza che non ha bisogno di ultra-produzioni per mascherare i suoi difetti ma che mette completamente in luce l’abilità e le idee di questi musicisti.



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Jessica Attene

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