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ELEPHANT9 Walk the Nile Rune Grammofon 2010 NOR

Dopo l’esordio convincente “Dodovoodoo” del 2008 torna con una nuova prova in studio questo interessante trio norvegese, dall’assetto strumentale abbastanza essenziale, ma in grado di generare creazioni musicali potenti a base di suoni acidi, corrosivi e vintage. Il motore della band è costituito da una vivace sezione ritmica con Nikolai Hængsle Eilertsen (dei National Bank, supergruppo con membri dei Jaga Jazzist e dei Bigbang) al basso e alla chitarra e Torstein Lofthus (proveniente dai connazionali Shining) alla batteria. Ståle Storløkken (che ricordiamo anche nella line-up dell’album “Skywards” di Terje Rypdal) è invece il fantasista del trio e con un vibrante organo Hammond ed un caldissmo Fender Rhodes provvede a creare impasti melodici carichi di fragranze strane ed inebrianti. Non si tratta di quelle elaborazioni sonore estreme, astratte e a volte scostanti che si diverte a tirare giù con i suoi Supersilent, entità musicale dedita all’improvvisazione impervia che si muove sui sentieri della musica elettroacustica e dell’avanguardia, ma di una proposta dall’anima più concreta e massiccia, rugosa e spessa, come la pelle di un pachiderma, anche se l’interferenza di certe idee si sente comunque benissimo. Il punto di partenza è senz’altro rappresentato dalla ricetta dell’esordio, che viene presa come base di appoggio, anche se qui il gruppo sperimenta direzioni diverse, pur mantenendo uno stile solido e riconoscibile. E’ in calo quella piccola quota di acid-jazz che si poteva percepire distintamente e a tratti, mentre si espandono i fumi psichedelici che si insinuano un po’ ovunque ed i pezzi hanno un impatto più energico. Senz’altro l’ambiente sonoro ci conduce agli anni Sessanta, soprattutto per quel che riguarda i suoni caldi e ruvidi dell’organo Hammond e del piano Fender, suonati con uno spirito Progressive che sembra trasportarci ai tempi del giovane Bo Hansson e delle sue avventure con il grande batterista jazz Janne Carlsson. Una batteria vivace e schizzatissima e le potenti incursioni dello Hammond sono spesso preponderanti nell’economia dei pezzi, ma come accennato, ci sono diverse interferenze musicali, prime fra tutte quelle dei gruppi madre Supersilent e Shining, di cui si avvertono le contaminazioni stilistiche: l’impatto live e l’improvvisazione in questo senso sono due elementi molto importanti. La traccia di apertura, “Fugl fønix”, è una solida porta di ingresso all’album: poggia su ritmiche e costruzioni melodiche compatte, è rotolante e travolgente ed ha un groove magnetico ed elettrico. Da qui si può divagare verso sentieri diversi: quelli ariosi di “Aviation” che sfoggia una batteria picchiata con colpi fittissimi e leggeri, con una fluida base di basso ed un organo Hammond che è libero di disegnare melodie morbide, scorrevoli e vivaci che potrebbe essere, come accennato, quello di Bo Hansson, oppure verso i fumi acidi della title track, con le sue contaminazioni elettroniche ed i suoi synth fischianti che sembrano quasi richiamare il barrito dell’elefante, oppure verso l’energia di “Habanera rocket” che parte da ritmiche tribali per espandersi progressivamente in un turbinio di vibrazioni sonore. Nel pezzo di chiusura, “John tinnick” la batteria perde tutte le sue caratteristiche jazz per trasformarsi in una vera e propria macchina da guerra, sul cui tonfare ritmico vengono a sovrapporsi la chitarra e le tastiere con le loro risonanze ed i loro riverberi. Non so se questo nuovo lavoro sia riuscito a bissare la bellezza dell’esordio, fatto sta che si tratta di un album sicuramente entusiasmante, per i suoi impasti timbrici e sonori, per il suo impatto energico e live, per le sue suggestioni vintage che vengono incorporate in un modo di suonare avvincente e contemporaneo, non ostacolato da alcun preconcetto e sempre pronto a deragliare su binari imprevedibili.



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Jessica Attene

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