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ELDBERG |
Eldberg |
Mylodon Records |
2011 |
ISL |
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L’Islanda è la patria della musica post? Questo giovane gruppo, nato nel 2008 e finalmente giunto al debutto dopo qualche rimaneggiamento di organico, autodefinisce la propria musica post-prog, asserendo che essa è nata dall’ascolto di band storiche come Focus, Jethro Tull, Procol Harum, Savage Rose ed Eik e si mescola altresì con altre correnti come il jazz e la musica classica. In realtà, seppure possa condividere i riferimenti con le fonti citate, non trovo in quest’opera nuovi linguaggi musicali né grossi lavori di sperimentazione e ricerca che giustifichino la creazione di una nuova etichetta di catalogazione, bensì una formula decisamente vintage e ben consolidata, che ci riporta con forza al glorioso passato, rinfrescata comunque dalla grinta e dall’entusiasmo giovanile di questi musicisti che, pur non dimostrandosi esperti musicologi, presentano però delle idee ben chiare su ciò che vogliono suonare. La realizzazione dell’album è avvenuta in maniera immediata e naturale e ciò si percepisce benissimo, soprattutto dalla sua grezza e dirompente energia, ed il processo di registrazione si è protratto per soli quattro giorni ma con l’aiuto in fase di mixaggio dell’esperto ex organista dei connazionali e storici Náttúra. Se da una parte la resa audio su CD presenta qualche pecca, dall’altra la bontà della proposta musicale supera di gran lunga ogni perplessità legata agli aspetti tecnici del prodotto. La forza di questo disco, un grintoso concentrato di ruvide melodie vintage, sta nei suoi impasti corposi ma anche poco ricercati che ci vengono proposti senza troppe cerimonie ed orpelli in una formula convincente ed ammiccante per chi ama certe sonorità. Troviamo in sostanza uno hard blues con forti iniezioni di Hammond, intriso di psichedelia, in cui vengono snocciolati qua e là piccoli riferimenti classici, come in “Ég er lífsins brauð” che si apre con caustica rivisitazione della celebre marcia nuziale di Wagner, o fugaci aperture jazz, come nella splendida e lunga traccia di chiusura “Hliðarlif vor tíma”. Ad arricchire i registri tastieristici troviamo inoltre il piano elettrico Wurlitzer 200A, il Rhodes mark 1 ed altri synth come il Roland Jupiter 8 ed il Farfisa Compact Deluxe. Vi sono poi tetre fragranze folk che intorbidiscono come buie ombre trame musicali intrise di melodie piene di magnetismo. Il risultato finale potrebbe ricordare in un certo senso gli svedesi Black Bonzo degli esordi ma con una performance vocale decisamente più rustica e prepotente, fornita dall’ugola non proprio aggraziata di Eyþór Ingi Gunnlaugsson, ed una gamma di influenze decisamente più ampia e variegata. La lingua scelta è l’islandese e questo dona in fondo un tocco insolito ad una formula musicale certamente accattivante ma sicuramente non troppo originale. La durata totale dell’opera tocca i 41 minuti complessivi e questo non è a parer mio uno svantaggio per un disco che si lascia ascoltare agevolmente anche a ripetizione. Senza girarci troppo attorno posso concludere che, se amate un certo tipo di prog organistico ed oscuro dai vaghi connotati nordici, che qui trovate rivisitato in una formula tutto sommato abbastanza personale, diretta e ricca di groove, dovreste andare a colpo sicuro, con qualche riserva per il cantato che in futuro potrebbe fare decisamente la differenza se venisse curato a dovere.
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Jessica Attene
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