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EPN TRIO Vol. 1 & 2 autoprod. 2012 ARG

Non è comune imbattersi in musicisti così preparati, brillanti, in grado di esprimersi con un linguaggio musicale così maturo e versatile, eppure nessun membro di questo gruppo, qui alle prese con il suo album d’esordio, supera i trent’anni. Héctor Britos (basso, sax alto, clarinetto), Sebastiàn Preit (piano, MIDI controller, Fender Rhodes) e Facundo Negri (batteria, vibrafono, percussioni) sono in grado di fluttuare in modo esplosivo fra il jazz e la musica da camera, facendo girare l’ago della loro bussola musicale a proprio piacimento, con capriccio e disinvoltura, mettendo ora in risalto uno stile, ora gettandosi sull’altro, oppure fondendoli addirittura insieme, dando vita a strutture piacevolmente complicate e comunque piene di vitalità e brio.
Ne è un esempio molto chiaro la bellissima suite “Interregno” che trovate nel secondo CD di quest’opera doppia, in cui si fanno convergere, in un ampio e cangiante mosaico, frammenti di Debussy (il preludio numero 3 dal premier livre ed i numero 3, 4, 8 e 12 dal deuxième livre), Olivier Messiaen (“Danse de la furerur”), Stravinskij (“La sagra della primavera”), Bela Bartok (“14 bagatelle per piano” e “Danze rumene”) ma anche di Miles Davis (“Nefertiti”), Charles Mingus (“Phitecantropus Erectus” e “Duke Ellington Sound of Love”) e John Coltrane (“Naima”). Tutte le tessere sono incollate e rilette in modo originale grazie all’estro compositivo del trio che fa scorrere jazz e musica contemporanea su piani diversi che spesso si deformano, intersecano e sovrappongono in un insieme cangiante e scorrevole. A rendere il tutto ancora più stuzzicante vi è poi la partecipazione di diversi altri musicisti, alcuni dei quali, e più precisamente Carolina Restuccia (voce) e Pedro Chalkho (chitarra), provenienti dai Factor Burzaco, gruppo che non a torto può essere annoverato fra i vari termini di paragone del caso, considerando anche che Facundo Negri ne è poi entrato a far parte. Lo stesso Abel Gilbert, compositore e arrangiatore dei Factor Burzaco, ha speso parole di encomio per questi ragazzi definendone l’opera come uno spettacolo impressionante di musicalità ed arte. E in effetti oltre alla musica, tanta e di ottima qualità, c’è anche l’aspetto visivo e tattile fornito da una confezione colorata e stravagante a foggia di lettera postale. Nel colorato box rettangolare, oltre ai due CD, troverete una serie di belle cartoline che riportano da un lato dipinti ispirati ad alcune canzoni dell’album e dall’altro le relative liriche. Si parlava dei Factor Burzaco, da chiamare in causa per gli incastri cameristici, assieme a gruppi come gli Henry Cow, anche se le parti vocali (affidate a un totale di sette ospiti fra cantanti e attori), quando presenti, sono essenzialmente recitate, comprese quelle affidate alla Restuccia in “Historia natural de la desperation”. Questi pezzi molto verbosi e teatrali, in cui le tante parole fluiscono seguendo ritmi variabili, ora a singhiozzo, ora incalzando in modo prepotente, sono un elemento di ulteriore varietà in un album tutt’altro che omogeneo. Le tante canzoni (dieci nel primo CD e undici nel secondo) sembrano quasi tanti quadri che occhieggiano dall’alto delle immense pareti di un museo di arte contemporanea, alcuni con linee e paesaggi riconoscibili e familiari, altri dalle geometrie spigolose o con immagini astratte e criptiche, gli uni dai colori caldi e confortevoli, gli altri dalle tinte aggressive. Se alcune composizioni, come quelle per solo piano “Luis quetandose en Bosnia” o “Julio en hidromurias” sono persino semplici e delicate, con note limpide che colorano appena i silenzi e melodie oniriche alla Debussy, basta solo un po’ scorrere i titoli dei pezzi che compongono la suite sul primo CD, “Britanico antipulcritud”, per capire che si tratta di opere a dir poco bizzarre. “Punkhhaussen”, “Dodecafolk”, “Chic Pop” e “Psichedelic Jude” offrono disegni strumentali spesso minimalisti, con divagazioni veloci e nervose e spartiti sbriciolati che mettono a volte a dura prova la nostra capacità di ascolto. Avanguardia sull’orlo di una crisi di nervi, suoni intrecciati, swing accattivanti e arie che sembrano far vedere momentaneamente una via di fuga vi terranno sicuramente impegnati. Le tracce più belle e interessanti sono secondo me quelle in cui si manifesta più forte il dualismo fra jazz e musica da camera, come “Astro azolappi” che inizia come un brano per solo piano con gli altri strumenti che intervengono dapprima timidamente, con tematiche jazz abbastanza classiche e bisbigliate, per poi buttarsi verso qualcosa che somiglia di più agli Henry Cow. Oppure come “Raporter” più esplosiva e dai suoni più decisi, con trame jazz rock coinvolgenti e il piano vibrante e tagliente come aghi di ghiaccio che entra in strutture tecniche dagli slanci cameristici. Fra i pezzi cantati (o meglio, declamati) segnalo “Informe documental”, con voci alienanti che recitano quasi meccanicamente fra buffi rumori di sottofondo, frastuoni e risate e strumenti che sembrano scorrazzare indisciplinatamente avanti e indietro, come fanciulli costretti in uno spazio chiuso. Quando meno te lo aspetti la musica si fa rigorosa, ben strutturata ed ecco un jazz rock suadente dai riflessi sinfonici, addirittura rilassato con un vibrafono scintillante, fiati e giochi percussivi. Qualcosa di a dir poco eclettico.
Mi viene da pensare che quest’opera contiene contemporaneamente almeno due o tre potenziali album diversi ma sicuramente non vale la pena compattare e razionalizzare ciò che la fantasia ha reso libero e slegato. Mi rendo conto che l’ascolto può rivelarsi a dir poco avventuroso ma qui sta il bello e se non siete tipi da poltrona e pasticcini direi che potreste dare una bella scossa ai vostri neuroni con questa bellissima opera d’arte visiva e musica, senza pensarci troppo però perché l’edizione è limitata e numerata.


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Jessica Attene

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