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EURASIA |
ilmondoarovescio |
Banksville Records |
2017 |
ITA |
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L'Eurasia è il supercontinente formato da due vaste aree geografiche i cui confini, in un'epoca in cui le distanze sono quasi azzerate grazie alla tecnologia e alla facilità dei trasporti, sono ormai solo politici. Sebbene il disco in esame non abbia niente a che fare con i mix folk-etno musicali che inevitabilmente sono nati in seguito a questo, l'idea di un'area geografica non limitata dal concetto di nazione descrive efficacemente la musica suonata dagli Eurasia, identificabile in una sola parola come "fusion". Nato dal contagio tra il rock ed il jazz, liberati in qualche modo dai “paletti” della durezza espressiva per l'uno e dall'eccessiva freddezza per l'altro, il genere si è evoluto nel corso degli anni, separandosi in qualche modo dal jazz-rock puro per produrre sia risultati mirabili che discutibili ibridi, oltre ad incrociare spesso il progressive per dare vita a creature sonore ancora più varie. In modo forse sorprendente, l'Italia ha fatto la sua parte grazie al fermento creatosi negli anni '70 attorno agli sperimentatori di incroci jazz-rock di qualità a prevalenza strumentale, con i picchi creativi rappresentati da Arti e Mestieri, Perigeo e Napoli Centrale. e addirittura con la generazione di una scena musicale dotata di una propria personalità localizzata nell'area di Torino. I piemontesi Eurasia si inseriscono in questo filone con un album dalle caratteristiche abbastanza personali, grazie soprattutto ad un uso peculiare della voce. I brani sono tutti cantati e la componente vocale è parte integrante e fondamentale della trama sonora, tanto che se si immagina di eliminarla si avverte che il risultato sarebbe molto diverso, e sicuramente più scontato e tradizionale. All'ascolto si avverte come le tracce siano basate una struttura strumentale complessa e stratificata, incentrata sullo studiato equilibrio tra la ritmica e le esplosioni solistiche di chitarre e tastiere. La voce si integra in tutto ciò alla stregua di uno strumento, in maniera decisamente fantasiosa. Spesso la struttura melodica è poco evidente e si ha l'impressione che sia il testo a indicare la direzione da seguire, col risultato che Moreno Delsignore sembri recitare invece che cantare. Sovente si passa da urla a sussurri, come in "Fatti i fatti tuoi", dove la parte vocale diventa a tratti quasi ossessiva e fastidiosa, in un effetto voluto che si accorda con il nervosismo di quella strumentale. È interessante notare come questo accada anche nei brani in apparenza più rilassati, come "Il buio nero" e "L'avvenire di un'illusione", mentre ogni tanto sembra di ascoltare una parte scritta originariamente per uno strumento a fiato ("Un mondo a rovescio"). Ci sono poi brani dalla struttura più complessa della media, con assoli che sfociano nel virtuosismo, come in "Vado contro", con la chitarra di Marcello Cavallo che fa pendere la bilancia verso il lato rock degli Eurasia, altri dove emerge maggiormente l'aspetto jazzato ("La luna in tasca"), e altri che tendono alla sperimentazione ("Bispensiero", chiaramente un omaggio agli Area). In chiusura è presente la cover di un brano appartenente alla colonna sonora dell'anime Gundam, col cantato ovviamente in giapponese e una costruzione melodica che esula abbastanza dal contesto dell'album, tanto da sembrare di fatto una bonus track. Nel complesso, "Il mondo a rovescio" mi è piaciuto molto. Ho apprezzato la possibilità di ascoltare qualcosa di diverso dal solito jazz-rock con influenze progressive, e allo stesso tempo mi è piaciuto il riferimento pacato a modelli esistenti (Canterbury sound e Allan Holdsworth). Il lavoro svolto dai musicisti, tutti molto esperti e provenienti da varie realtà italiane più o meno underground, è encomiabile e merita l'ascolto. Per chi odia la fusion (sentimento abbastanza diffuso in ambito rock), consiglio di lasciar perdere le etichette di genere e di provare l'ascolto.
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Nicola Sulas
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