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ECHO US |
The wintersong spires |
Absolute Probability Recordings |
2021 |
USA |
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Si può parlare di one man band per gli Echo Us, entità portata avanti dal polistrumentista statunitense Ethan Matthews che ha fatto il suo esordio discografico nel 2005. Da allora sono continuati ad uscire nuovi cd con una certa regolarità e con “The wintersong spire” siamo arrivati al sesto. Per questo nuovo parto Matthews è affiancato dal batterista e percussionista Andrew Greene e dalla bravissima cantante di estrazione classica Charlotte Engler. Spingiamo il tasto play e siamo subito avvolti da echi dei Pink Floyd più atmosferici nell’iniziale “We seek the descending leaves”, per quella che in realtà non è un’introduzione, ma un vero e proprio manifesto programmatico di un album incentrato su suoni ambientali ed una musica eterea, che ogni tanto mostra qualche sobbalzo ritmico e qualche slancio verso un pop-prog raffinato. Così, in “If you can imagine” si può avvertire l’influenza di Kate Bush, grazie all’intervento dell’aggraziata voce della Engler, che duetta con quella dello stesso Ethan, con, in più, contaminazioni care a Mike Oldfield. Si prosegue con nuove dimensioni sognanti in cui le tastiere, il pianoforte e la chitarra viaggiano tra new age, ambient e world music (“The night sky”, “(And acuiesce)”, “If we can breathe again…”), soluzioni che riportano alla mente certi Dead Can Dance, ma senza la stessa classe (“When the wingsong spires”), nuovi riferimenti oldfieldiani (“Squals”, “(Fly you home)”, “Under the smallest sky”), recuperi del folk celtico che impregnava l’album precedente (“And when they dance at dusk”), stravaganze tecno-pop memori del debutto (“I’ll wave you in”). Forse è proprio Mike Oldfield l’artista più preso in considerazione da Matthews in questa occasione, che però ama mescolare le carte e prendere spunto da stili diversi, cercando, al contempo, di mantenere una certa omogeneità di base. Dopo poco più di un’ora di ascolto, possiamo dire che il disco in sé e per sé è interessante, apprezzabile per lo spirito di ricerca e la gradevolezza di una musica che mostra contaminazioni pregevoli. Resta il fatto che nel ventunesimo secolo operazioni di questo tipo non sono certo una novità e agli Echo Us manca ancora quel quid che gli permetterebbe di spiccare il volo, quel lampo di genialità che farebbe passare l’appassionato prog da un ascolto piacevole ad un acquisto irrinunciabile, quella scintilla che favorirebbe un netto balzo in alto di una qualità che comunque si avverte.
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Peppe Di Spirito
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