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FROGFLAVOR Space of magic Intermusic/Musea Parallele 2006 JAP

45 secondi di basso acido e malinconico aprono questo lavoro dei FROGFLAVOR. Banda nipponica all’esordio, formata da tre elementi, ma nata da un quinquennio come “one man band” con il solo bassista compositore Hiroyuki Semine. Da un anno circa il leader ha iniziato varie collaborazioni trovando “casa” con il chitarrista Issei Takami, proveniente dal Funky-Metal e Toru Kubota, dotato batterista di scuola Jazz. Tutto ciò che si sente dal loro lavoro deriva da poche sedute di sala di incisione con il memento di “abbattere il muro dei generi”, come anche riportato sul loro logo.
Relativamente breve, intorno ai 42 minuti, l’intero lavoro suddiviso in 12 tracce di 3/4 minuti di rapidità. La scelta operata in merito alla lunghezza dei brani risulta assolutamente felice: non ci sono parti ridondanti o prolisse. Tutto è molto essenziale, a partire dai temi melodici, che comunque esistono all’interno dei brani e sono gestiti da una chitarra che pur proponendosi come frippiana appare più jazzy, sporca e a tratti metallica. No ci sono le “sante” diteggiature di Fripp. Dovessi avanzare un paragone oserei più per un Santana incazzoso e rude, o uno Dwezeel Zappa ancora più frammentato ed articolato. Ogni brano è a sua volta suddiviso in brevi movimenti nei quali si cambia velocità, riff, tempo e melodia. Per fare un esempio - che nulla c’entra dal punto di vista musicale, ma può spiegare ciò che accade - pensate alla variazione tra le parti più rock e più soft tipica dei gruppi di prog sinfonico. L’analisi di dettaglio dei brani pone in evidenza avvii aggressivi e immediate variazioni, alla ricerca di quella parte melodica, che spesso è rappresentata da un piccolo riff a metà o verso la fine del brano. Per dirla con un paragone, un po’ alla Weather Report: un tappeto di preparazione, anche scarno, per portare alla risoluzione melodica, breve accennata ma di chiara presa e riuscita.
Abbiamo detto del breve primo brano “Frog Time”, atipico rispetto alla restante parte del lavoro. Già l’apertura del secondo “0-320” risulta assolutamente rappresentativa per l’andazzo generale del CD. La chitarra si evolve da un riff, di poche note, che subito muta in un lungo assolo, a metà brano il cambio di tempo, ma l’assolo continua insinuando note su note fino al ritorno del riff iniziale. Il basso segue non in maniera classica e ritmica, ma accennando a rubare la linea melodica della chitarra, quasi una seconda voce, appesa tra un Pastorious e uno Squire. Più Jazz, in senso aperto del termine, il terzo brano “Espresso” con risoluzione finale, più ritmica e Fusion, secondo alcuni dettati alla McLaughlin. Per la quarta traccia “Miss Sunny” un impasto di Rock impetuoso e un Funky trascinante e prolungato dalla chitarra verso un finale crimsoniano. Il tutto in neanche tre minuti.
Nettamente funky, invece, il successivo “Funky-Machine”. Basso slappato con tanto di assolo, chitarra al limite della dissonanza con veloci scale di semitoni e batteria asciutta. Un brano “quasi” fresco e carino.
Tra i migliori del CD la successiva “Midnight of Metropolis”. Un Jazz-Rock con partenza alla Brand X con il batterista in bella evidenza su un tempo piuttosto complesso. Un assolo ricolmo di acidità e psichedelica in stile hendrixiano. Un altro stacco Funky porta al finale ricco di sonorità un po’ già sentite ma molto piacevoli. Blues in 6/8 e “The Last Strem” è già iniziata per scivolare su un gioco di spazzole appena accennate sul rullante. Un gran pezzo d’atmosfera con ripescaggio di suoni elettrici seventies, finale con note scalate, da manuale. “Five” è un brano più ostico, nel suo sviluppo Acid Jazz, non si apre neppure nel finale, interrotto piuttosto bruscamente, quasi fosse finita la benzina. Ancora Funky, acido e pungente per il nono brano “Changeable”, forse il brano meno riuscito del disco, con ripresa di parecchie cose già sentite nei brani precedenti. “D-Freak” è un bel brano zappiano dall’inizio alla fine null’altro da dire. Poco senso l’undicesima e breve traccia “The Second Man”, mentre appare interessante l’ultima “50:50” con un buon ritorno di Blues e Fusion.
Tutto sommato un buon lavoro, ricco di bei momenti, ma sicuramente penalizzato dalla sola presenza delle sei corde nelle parti “musicali” e non basta certo la grande maestria e flessibilità strumentistica di Takami e lo stimolo di abbattere i generi per poter consigliare il CD ad ognuno. Questo lavoro, quindi, è destinato agli amanti di Jazz e Fusion, magari neanche troppo d’avanguardia. Chi ama il prog molto contaminato, troverà sicuramente interessi e stimoli positivi, soprattutto se non si sofferma su nostalgiche – ma spesso determinanti - mancanze di tastiere o canto che spesso si desidererebbero alternative alle molte (troppe?) parti chitarristiche.

 

Roberto Vanali

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