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FEDERICO FASCE Images from the past autoprod. 2006 ITA

Provo ad immaginare questo mio conterraneo ligure, a scuola. Gli insegnati a fare domande e lui sempre con la mano alzata per rispondere. Primo nel portare le ricerche. Pacato, riflessivo, buono con i compagni in difficoltà, ma felice di aver finito di “dover” studiare.
Federico Fasce ha portato nella sua musica, tutto questo: suona ogni strumento, chitarre, tastiere, basso, synth, sequencer, programmatori, produce e arrangia ogni nota.
Per chi non conosce il minestrone alla genovese non sarà facile comprendere la miscela di ingredienti che qui troviamo amalgamata. Il fatto è che spesso minestrone è sinonimo di brodaglia, di cosa pesante, di frasi della nonna: “O te lo mangi o non mangi nient’altro”. Invece il minestrone che si fa dalle nostre parti è oltremodo buono. Se poi alla fine, quando è nel piatto a raffreddare, aggiungiamo un bel cucchiaio di pesto e un filo d’olio, siamo al massimo.
Iniziando a mangiare ci sono le cucchiaiate più brodose, quelle con olio e formaggio in superficie, quelle tutta verdura a pezzettoni, quelle che ti scotti la lingua, quelle che di sbrodolano sul mento, quelle che ti lasciano i fili di sedano tra i denti.
Il disco di Federico Fasce (il quinto della sua produzione) è tutto questo. Ci sono momenti molto belli per tensione e composizione, frammenti di Anthony Phillips, “Melancholy”, brevi momenti cameliani “Final Blow”, accenni di new age alla Vollenweider “Dreamer”, pezzetti di buon prog sinfonico di stampo Genesis / Banks “Reflection of the heart”, “So I dream”. Minimalismi carichi di suggestioni spesso poco terrene e molto ariose. Un che di derivativo da taluni “Cosmic Messengers”. Qualche caduta compositiva ispirata da pericolosi desideri di successo “Taxi” (che appare più centrata per la colonna sonora di qualche adventure game) o “REM” (tributo al gruppo americano), cose poco utili e troppo riempitive “Rockey”. Particelle più tirate e rockeggianti “Hard” e la seconda parte di “Marriage”. Qualcosa in sapore di Vangelis.
Mi sento comunque in dovere di promuovere un lavoro tutto sommato gradevole e riuscito – presumo – secondo le aspettative dell’autore. Suoni molto moderni, seppur casalinghi. Un peccato (mortale per chi scrive) utilizzare la batteria programmata. Chitarre ben suonate e piacevoli, tastiere un po’ fredde per l’eccessivo uso del midi. Un consiglio all’autore: una sala di incisione e degli strumentisti “umani”, per meglio sviluppare una vena creativa da non sottovalutare.
In analisi finale, comunque, di minestrone si tratta. Esasperatamente eterogeneo, il classico “di tutto un pop”, che se proprio dobbiamo accostare a qualcosa è più vicino alla new age che al prog.
Mia nonna, buonanima, raccontava che da ragazzo un suo figlio (mio zio) arrivato al quarto piatto di minestrone lamentava il fatto che fosse insipido o con troppa verdura, o troppo denso, o troppo liquido. Niente da fare, il minestrone alla genovese è buono, ma a pancia piena è così.

 

Roberto Vanali

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