Home
 
FORGOTTEN SILENCE Kro ni ka RedBlack 2006 CZE

Qual è il confine tra avanguardia e impenetrabilità, tra difficile assimilazione e artificiosità, ammesso che esista? Un'opera sperimentale deve comunque suscitare emozioni o il suo unico scopo è quello di incuriosire o addirittura lasciare perplesso il fruitore? Deve essere compresa fino in fondo o la sua ragione d’essere risiede proprio nella sua indecifrabilità? Il progressive oggi deve necessariamente sconfinare oltre i territori della melodia e dell'armonia per non essere additato come genere vecchio e logoro?
Non cerco la risposta a tutti questi interrogativi, semplicemente li ho usati per palesare il mio disagio di fronte al primo ascolto di "Kro Ni Ka", nuovo album (quinto o sesto: la discografia è piuttosto confusa, piena com’è di release su cassetta, EP e compilation) dei boemi Forgotten Silence.
E’ solo dopo aver digerito una manciata di ascolti propedeutici che inizia a palesarsi quella che è la velata dichiarazione d’intenti dell’album: mescolare ad un (thrash)-metal di fondo, quello proposto dalle band di origine dei cinque (per la precisione Sax e Remembrance), un’attitudine sperimentale a metà strada tra la scuola crimsoniana ed il R.I.O., con risultati in fin dei conti non disprezzabili che si concretizzano in un sound piuttosto “colto” e distante anni luce dalle banalità del metal più “brutale”.
L’album è composto di tre soli brani di lunga durata (sulla ventina di minuti), praticamente strumentali (e suonati in modo magistrale, questo va detto) con la presenza di una voce che si manifesta solo in forma parlata o sussurrata, ritmicamente spigolosi e frammentati, appesantiti da una chitarra ritmica dalla presenza ingombrante ed in grado, proprio per la loro coraggiosa struttura, di spiazzare, impaurire (almeno in prima battuta) ma in alcuni frangenti anche spazientire l’ascoltatore poco avvezzo al genere.
Una volta vinta la diffidenza provocata da un suono parecchio freddo e scostante (il metal avanguardistico non è la passione del sottoscritto!) si inizia con l’apprezzare le caratteristiche che rendono il tutto più interessante e che in qualche modo smentiscono o almeno mitigano la prima impressione.
Ecco che sotto gli strati di riff monocordi si scopre qualcosa di misterioso ed addirittura intrigante: un organo Hammond capace di evoluzioni in perfetto stile Emerson/Lord, inaspettate evoluzioni chitarristiche come negli ultimi minuti del brano di apertura “Brighton (The streets and the pier)”, le sfumature jazzate conferite dall’utilizzo del piano elettrico, la sezione centrale atmosferica e floydiana di “Mezzocaine” o l’introduzione sinfonica di “Declaration”, brano dominato dalle tastiere che ci fa addirittura domandare se per caso qualcuno non abbia tolto il dischetto per rimpiazzarlo con qualcosa di Pär Lindh.
Certo è che la potatura di alcune sezioni avrebbe giovato alla fruibilità del disco e che la mancanza di una voce solista (la loro cantante Hanka Nogolova ha lasciato la band nel 2004 e non è stata sostituita…) si fa sentire in un contesto così labirintico e intricato.
Probabilmente i più coraggiosi ed inclini ad un cross-over ad alto tasso metallico troveranno in queste “cronache” pane per i loro denti, gli altri potrebbero detestarlo.

 

Mauro Ranchicchio

Italian
English