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FIRST BAND FROM OUTER SPACE The guitar is mightier than the gun Transubstans 2009 SVE

Terzo album per la band di Göteborg, paladina dello space-rock scandinavo (assieme ai compagni di scuderia Øresund Space Collective), che segue “We’re only in it for the Spacerock” (2005) e “Impressionable Sounds of the Subsonic” (2006). Malgrado si trovi ridotta ad un trio in seguito alla defezione del flautista MoonBeamJosué (i musicisti adottano i suggestivi pseudonimi di JohanFromSpace - voce, chitarra e synth, StarFighterCarl – percussioni e SpaceAceFrippe – basso e synth), grazie alle trame multiple di chitarre sovraincise e ad un certo numero di ospiti, la band sforna il suo lavoro più ricco e denso, avvicinandosi di un gradino o due al prog di matrice sinfonica.
Il disco si compone di quattro tracce di lunghezza variabile: dopo qualche secondo in cui i nostri buontemponi siderali simulano su CD il fruscio di un vinile invecchiato un po’ male, si parte in quarta con “Demons and haze”, un brano sfacciatamente in stile Hawkind, che può vantare addirittura un refrain orecchiabile e affine al lavoro degli inglesi Litmus, altri inguaribili nostalgici della cultura freak.
La questione si fa più riflessiva su “Turn left to the Mexican Barbeque”, con l’ingresso di un organo straniato e stupefatto sulla falsariga del lavoro di Richard Wright nel periodo More/Ummagumma; la presenza della chitarra acustica e le voci unisone maschile/femminile rimandano ai Jefferson Starship del periodo “Blows Against the Empire”, il feeling è quello della psichedelica californiana ma la chitarra elettrica scoppiettante è debitrice più verso Steve Howe che Garcia o Kaukonen. Lo svolgimento è dilatato anche se l’improvvisazione è certamente strutturata e si svolge entro coordinate scritte; a condire il tutto, gorgoglianti synth ribollenti di materia analogica.
Con la piece-de-resistance “The guitar is mightier than the gun” la band aderisce maggiormente ai canoni dell’hard-rock sinfonico infuso di folk, in particolare lo storico e glorioso “Progg” svedese degli anni ’70 (November, Fläsket Brinner, Kebnekajse…): i 23 minuti consentono uno sviluppo più ragionato e meno frenetico, con cambi di tempo, pause di riflessione, parentesi di puro feedback e parti vocali sparse e quasi trascurabili. La seconda parte del brano, con i suoi riff vagamente funky paga pegno non poco alla produzione solista di Steve Hillage del periodo “Live Herald”, influenza felicemente fusa nuovamente con il classico rock “acido” d’oltreoceano.
Infine, “Smokin’” si può in qualche modo considerare una bonus track, perché assente (per ovvi vincoli di durata) dalla versione in vinile su etichetta Kommun Records che ha preceduto di qualche mese la pubblicazione su supporto ottico e si basa su un mantra di basso ipnotico non dissimile dal lavoro di Mike Howlett sull’album “You” dei Gong, aggiungendo però alla già sperimentata combinazione una gradita spruzzata di sapori etnici (la band colleziona strumenti asiatici e africani….).
Un album nel suo genere quasi esemplare, un suono che spesso pare incarnare la definizione stessa di space-rock e privo delle contaminazioni techno-elettroniche tanto importanti ad esempio in esperienze britanniche come gli Ozric Tentacles. Apprendiamo della recente aggregazione dell’organista Petrus Fredestad alla formazione e ci auguriamo che continui ad esistere un pubblico sensibile a proposte tecnicamente valide e deliziosamente retrò come questa.



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Mauro Ranchicchio

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