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FLOWER FLESH Duck in the box Black Widow 2012 ITA

Esordio per i savonesi Flower Flesh, un quintetto di belle speranze formato da Daniel Elvstrøm alla voce, Andrea Fazio alla batteria e alle percussioni, Ivan Giribone al basso, Marco Olivieri alle chitarre e Alberto Sgarlato alle tastiere. Nell’album “Duck in the box” questa band prova a dare una moderna prova di progressive rock che parte dalle esperienze degli anni ’70 (Yes, Genesis, Kansas, PFM), ma capace di non perdersi in imitazioni pedisseque ed in un sound passatista e provando anche a caricare di “tiro” le sette tracce del cd, senza aver paura di orientarsi qua e là verso la psichedelica made in USA, in stile Doors o Quicksilver Messenger Service. I risultati, pur denotando discrete idee di base, sono un po’ altalenanti. Tra i pregi vanno evidenziati sicuramente le discrete qualità tecniche, un certo feeling sprigionato soprattutto quando ci sono i momenti solisti di chitarra e tastiere e la capacità di creare dinamiche di prog sinfonico sicuramente convincenti. Di contro, da segnalare un po’ troppa verbosità nei testi, una pronuncia inglese non proprio impeccabile (solo di rado si ricorre all’italiano ed è un peccato, perché il timbro vocale morrisoniano di Elvstrøm potrebbe essere un bel punto di forza) e una registrazione che appare non proprio perfetta. Alcune composizioni sono davvero ben costruite ed eseguite, a partire da “My gladness after the sadness” (con i suoi nove minuti e quarantadue secondi la traccia più lunga dell’album) col suo rock romantico dalle tastiere banksiane e rifiniture à la PFM nel finale. Altro momento davvero piacevole da ascoltare è la mini-suite “The race of my life”, una sorta di personalissima visione del new-prog per i Flower Flesh. Il pezzo forte resta forse la conclusiva “Scream and die”, ricca di cambi di tempo e di atmosfera e pronta ad alternare andamento epico e riff aggressivi. La breve durata (poco più di quaranta minuti) dell’album favorisce un ascolto scorrevole e permette di non appesantire troppo un lavoro fatto innanzitutto con il cuore. Tra prog sinfonico dei bei tempi andati, una spinta moderna, qualche sferzata hard e divagazioni acide, sono trasmesse spontaneità e passione a tutta forza in questo cd che non esalta, ma lascia intravedere molte potenzialità e che pure contiene qualche colpo da maestro. C’è tanta concorrenza e in Italia i gruppi prog sembrano sempre aumentare; le basi per far bene, dunque, ci sono, ma ci vuole qualcosina in più per raggiungere sia una piena personalità che quella qualità media elevata che si intravede nelle produzioni degli ultimi anni.


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Peppe Di Spirito

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