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FIREBIRD Bonds of life Dionysian Records 2014 USA

La particolarità di questo gruppo e di questo disco risiede nel fatto che come vocalist si è scelta una soprano. Non stiamo parlando di una emula delle varie Anneke Van Giersbergen, Liv Kristine e Kari Rueslatten, che animarono il panorama del gothic metal dagli anni ’90 a seguire con le loro voci angeliche, ma di una vera e propria cantante lirica inserita in una prog band che si muove tra avanguardia, rock e inevitabili spinte operistiche. E proprio questa caratteristica, lo diciamo subito, può rendere un po’ ostico l’ascolto. L’ugola di Jacqueline Milena Thompson, infatti, è ben presente nei cinque brani cantati di “Bonds of life”, al punto di diventare spesso il fulcro centrale che attira maggiormente le attenzioni e su cui si reggono gli equilibri del sound creato dai Firebird. Ad ogni modo, si tratta di un’artista di spessore, tecnicamente preparatissima e con un prestigioso curriculum alle spalle, con ruoli da protagonista in importanti opere. Con l’enfasi che caratterizza la sua performance rischiano quasi di passare in secondo piano gli altri membri della band, perciò diventa importante ricordare che fondamentalmente dietro questo progetto c’è la mente di Dana Dimitri Richardson, autore di tutte le composizioni dell’album ed altro personaggio dal background rilevante e ricco. Gli strumentisti a cui è stato affidato il compito di eseguire la musica sono Jonathan Jetter e Peter Fabrizio alle chitarre, Ray Cetta al basso, Mark Lopeman al sassofono e Cesare Papetti alla batteria e alle percussioni (più una manciata di ospiti pronti a dare una mano). La title-track apre il disco con una elettricità che riporta alla mente i King Crimson del ’73-’74, ma sicuramente spiazza l’entrata della voce in un simile contesto e i paragoni iniziano a spostarsi verso certi esponenti del R.I.O. degli anni ’90, come gli U Totem. Altri brani, come “The tree”, “In your heart” e “When you went” spingono ancora di più sui territori del rock d’avanguardia e, in effetti, ci riescono a far pensare che questo cd potrebbe benissimo figurare in un catalogo come quello della Cuneiform Records, da sempre attenta a proposte di questo tipo. “Succubus”, poi, è forse il momento più folle del lavoro, tra accelerazioni, chitarre acide e quasi psichedeliche, riff stravaganti e la voce della Thompson sempre sopra le righe. Ci sono inoltre tre pezzi strumentali, di ampio minutaggio, intitolati “Winter solstice 2”, “Lost love” e “Phoenix”. Qui la proposta si fa un po’ più accessibile, all’avanguardia si avvicinano il jazz-rock e, a tratti, nuovi slanci crimsoniani e vaghe reminiscenze zappiane, ma rimaniamo sempre nell’ambito di un ascolto che solo persone “allenate” ad un certo tipo di sound possono apprezzare con immediatezza. Il lavoro in sé e per sé è valido, ma di sicuro non è proprio di facile fruibilità. Per di più non stento a immaginare che non saranno pochi i potenziali ascoltatori che si troveranno in grande difficoltà al cospetto delle parti cantate. Probabilmente lo possiamo considerare un album destinato a quei pochi eletti che entrano subito in sintonia con gli accostamenti più stravaganti ed arditi tra rock e avanguardia.


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Peppe Di Spirito

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