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FORSQUEAK FSK Almendra Music 2017 ITA

Come già scritto in altre recensioni, la cultura palermitana sa essere cruda e irriverente, canzonando i modelli stereotipati tramite una loro grottesca esaltazione. Ne sono un esempio i canterburyani Homunculus Res o i progetti a nome Mezz Gacano. I Forsqueak non fanno in realtà molta differenza, imponendo uno stile avanguardistico che ha fatto avere loro l’appellativo di “orchestra”, coniugando soluzioni di alta “cervelloticità” (come fatto del resto dai propri colleghi). Anche qui si avverte il controverso ed indefinito odore di Canterbury, come del resto il nome stesso suggerisce: trattasi infatti di un termine a sua volta estrapolato da una frase di “Alife”, brano presente su “Rock Bottom” (1974) di Robert Wyatt. La proposta progressiva del gruppo siciliano, composta da math-rock, post-qualchecosa e avanguardia jazz, ben si inserisce in quelle presentate dalla Almendra Music, casa discografica anch’essa sicula. Di certo, il debutto “Parental advisory: absolutely no lyrics” del 2013 era molto più viscerale, con alcuni pezzi davvero ben riusciti, tra cui la cover “Well You Needn’t” di Thelonious Monk. Anche l’incisione risultava sicuramente più genuina, ricordando un approccio d’improvvisazione in tendenza con la riscoperta dei seventies avvenuta a partire dagli anni ‘90. In questa nuova uscita, invece, tutto è più meditato e volutamente più freddo. Si sentono ancora i King Crimson, ma sicuramente quelli che hanno preso vita a partire da “Discipline” nel 1981 e che hanno proseguito durante il relativo decennio. Il sound si è fatto meno esplosivo, più ragionato e senza dubbio “sintentico”, con un’irriverenza ostentata in ritmi che a volte ricordano le musiche in stile videogame. È sicuramente il manifesto di chi – come dichiarato dai diretti interessati – decide di evolversi e di non guardarsi mai alle spalle, fattore che comunque comporta dei rischi, soprattutto se ancora non si è raggiunto lo status di un David Bowie, anch’egli citato dalla band, personaggio di gran successo indipendentemente dalla qualità dei propri lavori (che sono stati davvero tanti).
Bruno Pitruzella affianca alla chitarra elettrica quella acustica e Sergio Schifano imbraccia la electric baritone guitar, fondendosi così col basso sempre vivo di Luca La Russa. Quello che apparentemente sembra maggiormente penalizzato è Simone Sfameli, la cui batteria risente più di tutte delle sonorità sintetiche. Ma magari era esattamente ciò che si voleva ottenere. Le iniziali “Batway” , “Narabo” e “Kim Ki Duk” sono esplicative di quanto detto; si suggerisce però di ascoltare il crescendo di pezzi come “Monday”, “Kitalpha” o “Lay” per comprendere come ci sia qualcosa che comunque vada oltre la mera elucubrazione, per quanto possa essere complessa. Detto che tra gli ospiti vi è Davide Di Giovanni, tastierista proprio dei concittadini Homunculus Res, si segnala anche l’ottima presenza del sassofonista Piero Bittolo Bon in “Kindred”, pezzo molto sbilanciato sul versante jazz, probabilmente l’episodio migliore del lotto. “Don Dolando”, a dispetto del nome, risulta il momento più rock e la conclusiva “Hamster” mischia le varie influenze, anch’esse rock. Quest’ultimo brano era stato l’apripista del nuovo album, con il video ad opera di Caterina Sciortino.
Si parlava dei King Crimson, prima; partendo dalla creatura di Robert Fripp si sono creati altri fenomeni, ad opera di uno o più componenti transitati all’interno delle file “cremisi” durante questo ampio arco di tempo. Tra questi vi sono anche gli Stick Men di Tony Levin, che ad oggi sembrano il riferimento più evidente per i quattro palermitani. Come detto, quanto si intravedeva nell’esordio sembrava ben altra cosa. Ma il “progredire”, a volte, comporta anche questi momenti interlocutori, che necessitano di più ascolti per essere meglio compresi nel loro significato più autentico.



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Michele Merenda

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