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GALADRIEL Chasing the dragonfly Musea 1992 SPA

Questa seconda uscita degli spagnoli Galadriel costituisce sicuramente uno dei lavori più attesi (probabilmente non solo dap arte mia) degli ultimi tempi. L'album in questione doveva essere pronto nella primavera / estate del '91, ma tutta una serie di impedimenti ne hanno ritardato l'uscita fino al febbraio successivo. Non nego la grande ammirazione che nutro verso la loro prima, fantastica opera ("Muttered promises from an ageless pond"), ma una serie di stravolgimenti all'interno dell'organico della band mi facevano temere che eventuali cambiamenti (in negativo) avessero investito anche il prodotto musicale: sicuramente un cambiamento nei Galadriel c'è stato, ma certamente non in peggio.
La band che emerge da questo lavoro è senz'altro una band più matura, più meditativa, che è riuscita a produrre un lavoro capace di appassionare, di coinvolgere anche il più scettico degli ascoltatori. "Chasing the dragonfly" risulta essere curato in ogni più piccolo particolare, a cominciare dalla stupenda copertina che, purtroppo, risulta essere penalizzata dal formato-francobollo del CD, rappresentante una libellula posata su di uno sfondo coloratissimo dai caratteri orientali.
I sei brani (per un totale di 50') dell'opera sono alquanto omogenei nello stile e trovano un comune denominatore in echi genesisiani, stilemi orientaleggianti e un tocco di spanish-prog (non ultima l'influenza, quasi inavvertibile, del flamenco-rock). Si tratta di un lavoro che, secondo il mio modesto parere, deve essere ascoltato più volte prima di coglierne tutte le sfaccettature, ma che finirà col piacere irresistibilmente. Si passa infatti dal bello strumentale "Passport to Tora", dall'incedere vagamente genesisiano, alla orientale "Under a full coloured sky", dove raffinatezza e fascino sono componenti di una miscela veramente accattivante. Raffinatezza che rappresenta probabilmente il punto di forza dei Galadriel e che emerge e si concretizza brano dopo brano. Sentitevi un po' "Alveo (Bolero)", dove la parola capolavoro non è poi così fuori luogo, il pezzo più bello e rappresentativo dell'intero lavoro, caratterizzato da un crescendo continuo, oppure il già citato "Passport to Tora". Si possono avvertire anche dei riferimenti allo stile new-prog inglese dei primi '80 in "Merciless tides", interpretato sempre in chiave estremamente personale, ed anche qualche sprazzo di Pink Floyd nella traccia di chiusura "The gray stones of Escalia" (18'40") dove, ad un inizio molto soffuso dai toni orientaleggianti, segue uno sviluppo più dinamico con un finale da brivido.
Si tratta di una band dalle crosse capacità tecniche, con un ottimo gusto melodico ed un'elevata professionalità che avrebbe tutte le carte in regola per sfondare alla grande sul mercato (non solo prog). Se avevano meritato un pieno successo con la loro opera prima, tale successo non potrà che essere ribadito (se non amplificato) dalla presente opera.

 

Giovanni Baldi

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